I caratteri esotici del Manuale tipografico di Bodoni

L’opera che raccoglie tutto il lavoro della vita di Giambattista Bodoni è il Manuale tipografico, stampato nel 1818, cinque anni dopo la morte dell’incisore.

Il manuale si compone di due volumi, di oltre 260 pagine ciascuno, in cui sono raccolti specimen di tutti i tipi di carattere che erano stati messi a punto dalla fonderia. Il primo volume è dedicato ai caratteri latini. In ogni pagina sono stampate le prime parole della prima Catilinaria di Cicerone in latino (l’orazione con cui il noto oratore romano smascherava la congiura di Catilina: Quousque tandem abutère, Catilina, patientia nostra?). Si comincia con le dimensioni più piccole per andare verso quelle sempre più grandi. In alto è indicata la dimensione, non in punti tipografici, ma secondo i nomi in uso all’epoca (che presumibilmente non corrispondono a nessuna grandezza esatta in punti secondo gli standard di oggi). Si cominciava con la parmigianina,per passare a nompariglia, mignona, testino e così via. In basso invece era indicato il nome del font in questione: ognuno riprendeva una diversa città; le tre parmigianine sono Parma, Roma e Parigi, le tre nompariglie sono Napoli, Varsavia e Marsiglia, e così via.

Il secondo volume invece è destinato ai caratteri esotici e ai fregi. A differenza del primo volume che iniziava con delle prefazioni che introducevano l’opera, nel secondo si entra direttamente nel vivo, con i caratteri greci che la fanno da padrone e si succedono per pagine e pagine. In questo caso i nomi dei caratteri non vengono indicati: hanno tutti l’intestazione “Greco” e un numero di riferimento, mentre in basso, in piccolo, senza cartiglio, c’è l’indicazione della dimensione (Sulla Lettura, Sul Silvio, Sul Soprasilvio). Ci sono varie pagine di maiuscole greche, senza nome né dimensione, il cui testo è l’intero alfabeto in ordine o magari, nei casi più grandi, gruppi di quattro o tre lettere.

Alla 136ma pagina iniziano gli “Altri esotici”, a partire dall’ebraico, seguito da rabbinico, caldaico, siriaco, siro-estranghelo, samaritano, arabo, turco, tartaro, persiano, etiopico, copto, armeno, etrusco, fenicio, punico, palmireno, serviano, illirico, gotico, giorgiano, tibetano, bracmanico e malabarico.

La sezione successiva, da pagina 204 in poi, contiene i caratteri tedeschi e russi. Per tedesco si intende lo stile gotico e ci sono solo poche pagine. Per i russi ci sono parecchie pagine, nelle dimensioni più disparate (sempre a crescere) sia in stile tondo che italico o all-caps.

E questi sono gli ultimi alfabeti presenti, visto che dalle sezione successiva cominciano ad essere mostrati tutti i vari fregi disponibili e le altre decorazioni.

Non mi pare che sul web ci sia una tabella col sommario di tutti i caratteri presenti. Bisogna prendere una copia del manuale e sfogliarla. Sul sito Biblioteca Bodoni è possibile sfogliare in maniera intuitiva e comoda entrambi i volumi che compongono l’opera.

Certo lascia un po’ stupiti l’elenco di caratteri esotici inclusi nella collezione. Gli armeni, i tartari, i tibetani e tutti gli altri compravano caratteri dall’Italia? Quanti libri contenevano scritte in palmireno, illirico o malabarico?

La parte dell’alfabeto latino invece può stupire per la monotonia. Abituati al giorno d’oggi a vedere che la collezione di una fonderia è composta da serif (elzeviri, bodoni, slab), sans serif (geometrici, larghi, stretti), display, script, irregolari, nonché font decorati per Natale, Pasqua e San Valentino, l’intera collezione di Bodoni... quasi non sembra una collezione, sembra quasi un solo tipo di carattere, il Bodoni appunto, un serif classico ripetuto in varie grandezze diverse. In realtà bisogna tenere conto del fatto che i font che esistono al giorno d’oggi sono scalabili: il disegnatore mette a punto una certa versione, e il cliente può utilizzarla a piacimento, sia per il testo, sia per le note scritte in piccolo, sia per i titoli, sia per l’intestazione della prima pagina. All’epoca invece le lettere tipografiche erano dei blocchetti di metallo: non potevano in nessun modo essere ingranditi o rimpiccioliti. Ogni punzone andava inciso a mano, per cui quando si era finito il lavoro per una dimensione, bisognava ricominciare da capo, lettera per lettera, per una nuova dimensione. Tenendo conto delle esigenze che sorgevano di volta in volta: il rapporto tra tratti spessi e tratti sottili nelle lettere di un testo scritto in piccolo non è lo stesso di un testo grande (in piccolo i tratti sottili non possono essere così fini da scomparire, mentre in grande non possono essere tanto spessi da perdere in eleganza). Stesso discorso vale per il rapporto tra l’altezza delle minuscole e quella delle maiuscole. Insomma, per avere lo stesso stile disponibile in tante dimensioni diverse c’era un lavoro immane da fare, tenuto conto che non esistevano pantografi né tecniche di optical scaling.

Mentre i fonditori britannici avevano l’esigenza di realizzare anche caratteri celtici per i testi in irlandese, ad esempio, vediamo che per Bodoni questo non era necessario (e oggi i caratteri celtici si usano molto di più di quelli siriaci, specie il giorno di San Patrizio). Gli stessi caratteri in stile gotico, che oggi proliferano per essere usati in tatuaggi, copertine di dischi metal-hip hop-rap, sottoculture varie e manifesti di iniziative medievali, venivano considerati molto poco importanti da Bodoni, che ci dedicò pochissimo tempo, e solo per piccole dimensioni: sono due pagine in tutto, e solo in stile tedesco, che oggi è praticamente sconosciuto rispetto all’old english.

Commenti

Post più popolari