Rotocalcografia

La rotocalcografia è una tecnica di stampa che ha una certa notorietà perché il nome è collegato con un intero genere della stampa periodica: i cosiddetti rotocalchi, ossia riviste illustrate che trattano argomenti di attualità.

Il primo rotocalco in Italia fu il Secolo Illustrato, a partire dagli anni Venti. Il settimanale esisteva già precedentemente (fu fondato nel 1889) ma usava altre tecniche . Acquistato da Arnoldo Mondadori nel 1923, a partire da due anni più tardi iniziò ad essere stampato in rotocalco.

Wikipedia ha un articolo dedicato ai rotocalchi intesi come genere giornalistico, e uno dedicato alla tecnica della rotocalcografia in sé, che può essere usata per stampare anche prodotti di diverso genere (volantini, libri, imballaggi, eccetera).

La sezione storica lascia molto a desiderare: non riporta nessun nome e nessuna data precisa.

La sezione dedicata al procedimento è più dettagliata. La stampa avviene grazie ad un rullo coperto da un sottile strato di rame su cui si incide il soggetto da stampare. A differenza della tecnica usata da Gutenberg, nella quale è la parte in rilievo a trasferire l’inchiostro su foglio, qui avviene l’inverso: è la parte incisa a riempirsi di inchiostro che poi passa sul foglio. E più è profonda più inchiostro passa. (L’inchiostro in eccesso viene pulito da un’apposita lama prima di toccare il foglio)

Il cilindro può essere inciso con quattro sistemi diversi.

Dice l’articolo: “Il rotocalco si riconosce dalla tipica forma dei puntini della retinatura, che generalmente hanno la stessa grandezza ma tonalità differenti”. Segue una citazione secondo cui “dal punto di vista estetico la rotocalcografia riproduce e traduce le apparenze visibili dei segni fotografici in oggetti di volumetrica e vellutata seduzione visiva, dando modo all’immagine di disporsi in una sua dimensione tattile”, già taggata con l’etichetta “Senza Fonte”. Peccato però che mancano fotografie del dettaglio che permettano di capire a cosa ci si riferisce, sia qui sia su altri siti web.

Il blog The Print Guide ha raccolto in un’unica pagina gli ingrandimenti di lettere dell’alfabeto e porzioni di immagine ottenute con tecniche di stampa diverse. Soffermandosi sull’aspetto delle singole gocce di inchiostro è possibile distinguere una tecnica dall’altra e capire come è stato stampato un determinato documento. In inglese la rotocalcografia si chiama “rotogravure”, e in effetti uno degli esempi che si possono vedere nel post si intitola Gravure. In quel caso, “tutti gli elementi grafici appaiono halftone screened (provo a tradurre: retinati a mezzitoni, ndr) così che i bordi del testo mostrano un ruvido aspetto halftone (a mezzitoni, ndr)”. In pratica mentre in altre tecniche di stampa ogni lettera dell’alfabeto appare come un blocco unico dai contorni netti, nel rotocalco la lettera, ingrandita al massimo, appare composta da tanti cerchietti neri sovrapposti tra di loro; ai bordi però si distingue il profilo di ciascun cerchietto. Per quanto riguarda le immagini, anche queste sono composte di cerchietti di vari colori diversi che si sovrappongono; il post parla di “aspetto acquoso” e di un buchetto al centro che appare in alcuni di questi cerchietti (dots).

 

Dettaglio di un articolo pubblicato sul Venerdì di Repubblica. Se visti ad occhio nudo i caratteri hanno un aspetto compatto, quando li si ingrandisce si nota che sono composti da vari puntini. Segno che il procedimento di stampa utilizzato è la rotocalcografia. Negli articoli sul quotidiano invece i contorni delle lettere sono netti: in quel caso si tratta di stampa offset.

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