Mirabilis liber

Dice Wikipedia che una delle maggiori fonti per le profezie di Nostradamus fu il Mirabilis Liber del 1522, un testo il cui successo non perdurò nel tempo, visto che era scritto in latino con caratteri gotici e abbreviazioni difficili da capire (Nostradamus invece scriveva in francese).

L’enciclopedia non ha una voce italiana dedicata al libro (che raccoglie profezie di autori vari), mentre quella inglese non ne mostra la foto. Ma cercando sui motori di ricerca vengono fuori le immagini di numerose edizioni diverse. Una di queste si trova proprio su Wikimedia, anche se nessuna voce dell’enciclopedia la usa. L’impaginazione è veramente assurda secondo i criteri moderni, e in effetti se confrontata con l’edizione seicentesca delle profezie di Nostradamus in inglese sembra veramente primitiva. Secondo la didascalia la pagina risalirebbe a circa il 1522-1528, e si fa il nome di Ambroise Girault.

L’intestazione della pagina sono le prime parole del titolo, “Mirabilis liber qui”, scritte con dei caratteri gotici che sono praticamente quelli che possiamo trovare nell’Old English, un font comunemente installato sui computer con software Microsoft. Il problema è che i caratteri che si usavano all’epoca non erano scalabili, visto che erano dei blocchetti di metallo. Il tipografo non poteva scendere da corpo 66 a 60 come facciamo noi con i programmi di videoscrittura. Per cui o rinunciava alla terza parola sulla stessa riga, oppure toglieva gli spazi. In questo caso ha tolto gli spazi tra le parole.

Il resto della pagina è a caratteri gotici, che vengono chiamati blackletter proprio per via dell’aspetto scuro che danno alla pagina. Come se noi impaginassimo un testo interamente in neretto. Ma a ben guardare tra l’intestazione e il testo c’è qualche riga più chiara: già, le tre righe che proseguono il titolo sono scritte, incredibilmente, in caratteri romani. Si tratta di un romano rozzo e primitivo, ma bene o male la forma delle lettere è la stessa che usiamo ancora oggi, inclusa la &.

Ovviamente notiamo qualcosa di molto datato: prima di tutto l’uso della s lunga al posto della s normale quando la lettera compare in mezzo alla parola. In “presentes”, la prima s è lunga e la seconda è normale (è ci sono parecchie s normali visto che le parole latine finiscono spesso per s). Notiamo poi l’uso della u al posto della v (“Reuelationes”), e la presenza di abbreviazioni medievali: sopra una o, una a e una p compare un trattino (o tilde) che di solito serviva per indicare che alcune lettere erano state omesse. La parola “miradas”, col segno al disopra della prima a si legge “mirandas”. La e ha il tratto rettilineo obliquo in salita, come nel Bell, ma per il resto non notiamo cose particolarmente strane (se non il fatto che il contrasto tra tratti spessi e tratti sottili è minimo, visto che con le tecniche dell’epoca i caratteri non potevano essere curati nei minimi dettagli).

Passando al testo della pagina la prima cosa che si nota è che tutti i paragrafi iniziano per C. In realtà la C non è la prima lettera del paragrafo, ma il simbolo che indica l’inizio del paragrafo stesso.

È l’antenato del piede di mosca, ossia di quel segno che compare nei programmi di videoscrittura quando si attiva l’opzione per mostrare i caratteri che non lasciano segni sul foglio: lo spazio viene indicato con un puntino, il carattere di tabulazione con una freccetta, mentre il simbolo di fine paragrafo compare là dove si è digitato l’invio. Attualmente è costituito da una forma a semicerchio interamente riempita, appoggiata a due segmenti paralleli che scendono fin sotto la linea di base. Si tratta del simbolo che si trova sul pulsante che attiva la visualizzazione dei caratteri non stampabili su OpenOffice (la scorciatoia che lo attiva è Ctrl+f10).

Su Wikipedia c’è un disegno che mostra il possibile sviluppo di questo simbolo a partire dalla C (che indicava la parola Capitulum): prima si scriveva la c normale, poi la lettera con una barra singola, poi con una barra doppia, poi la lettera è stata spostata in alto e riempita e la doppia barra verticale ha preso il sopravvento. L’enciclopedia dice che il vecchio simbolo della C con doppia barra non è stato abbandonato, ma si trova ancora nello standard Unicode col codice U+2e3f. Lo si può cercare cliccando su Inserisci/Caratteri Speciali nel programma che si usa per la videoscrittura. È stato mantenuto proprio pensando agli storici che devono trascrivere antichi testi, pur essendo obsoleto. Peccato che manca in tutti i principali font, incluso il Segoe Historic. Comunque sul mio computer il simbolo che si trova nella pagina di Wikipedia lo riesco a visualizzare: si trova nel Munson (font gratuito che si può scaricare da FontSquirrel, il cui alfabeto latino è in stile ottocentesco).

Per tornare all’impaginazione del Mirabilis Liber, notiamo che si tratta di un gotico abbastanza ammorbidito rispetto a quello usato nel Quattrocento da Gutenberg. Basta guardare la lettera o che è abbastanza tondeggiante (pur essendo apparentemente composta di segmenti): in Gutenberg era più stretta e spigolosa.

Nel testo notiamo varie convenzioni medievali, tra cui di nuovo i segni sopra le vocali e consonanti per indicare lettere o sillabe che sono state omesse, e un segno che ha la forma che ricorda alla lontana una r minuscola calligrafica e che in realtà è la legatura et. È molto usato, e si usa ogni volta che c’è bisogno della congiunzione e.

In questo caso non si può usare l’Old English come sostituto di questo font, per impaginare il testo nello stesso stile. Ricordiamo che non stiamo parlando di font scalabili: i caratteri dell’intestazione potevano essere curati nei dettagli perché erano grandi, mentre quelli usati per il testo avevano i dettagli ridotti all’osso (a causa della stampa imprecisa dell’epoca talvolta il bianco all’interno della e viene chiuso dall’inchiostro. E comunque è incredibile il fatto che spesso questo non succede). Le maiuscole hanno comunque qualche abbellimento, come i due sottili tratti obliqui che attraversano la conroforma della P, o i due tratti sottili orizzontali che si trovano nella N. L’inchiostro sulle lettere non è uniforme, per cui alcune lettere risultano più sporche di altre, a differenza che nelle stampe moderne dove tutte le lettere sono stampate nello stesso modo.

Vediamo che nel testo ci mancano le virgole: ci sono solo punti e due punti. Quando compare il simbolo dei due punti, non ci viene messo lo spazio né prima né dopo.

Si usa ancora la r rotunda (ispirata alla forma della R maiuscola, ma senza l’asta verticale perché si appoggia alla lettera che precede, e si usa solo quando quest’ultima ha un tratto a cui appoggiarsi, altrimenti si usa una r normale).

Il testo è giustificato, ossia allineato a destra e sinistra.

Esiste un’altra versione di questo libro che a prima vista sembra la stessa, e segue le stesse convenzioni, ma è caratterizzata da una cornice fatta di fregi diversi tra loro, accostati in maniera abbastanza rozza. In questo caso basta guardare l’intestazione per rendersi conto che si tratta di un’altra edizione: anche se i caratteri sono gli stessi in questo caso il tipografo ha scelto di mettere lo spazio tra le parole “Mirabilis liber”. Che vengono precedute dal simbolo del capitolo. Per cui la parola “qui” rimane fuori, e viene scritta in caratteri romani all’inizio della riga sottostante.

La didascalia nomina Guillame de Bossozel e di nuovo Ambroise Girault (su quest’ultimo Wikipedia non ha nessuna voce) e l’anno indicato è il 1531.

Scorrendo le immagini sui motori di ricerca, viene fuori anche la prima pagina della seconda parte che è scritta in francese usando un font diverso, più moderno (lo avevo preso per tedesco, a prima vista): una gotica bastarda, suppongo. Qui i caratteri romani non compaiono né nel titolo né del bel capolettera con una V romana. 

Si trova anche una pagina datata 1524, caratterizzata da una sottile linea di cornice tutta attorno e una intestazione a tutta larghezza (preceduta dal simbolo del capitolo) con scritto “Mirabilis”, incredibilmente in caratteri maiuscoli romani (le parole “Liber qui” finiscono all’inizio delle tre righe romane successive che precedono il testo a caratteri gotici). L’impaginazione del resto del testo sembra la stessa, per quanto riguarda il tipo di caratteri, anche se nell’immagine pubblicata non si vedono trattini sottili all’interno della P. Senonché, ad alcune parole viene dedicata una riga a parte (forse la è la fonte da cui è stata tratta la profezia) e questo rende la divisione in paragrafi molto più chiara e schematica. 

La pagina si conclude col motto “Spes mea deus”, che dovrebbe significare “Dio mia speranza”.

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