Come comporre un testo con una Monophoto
Il filmato risale al 1963. La macchina serviva per impaginare un testo col metodo della fotocomposizione. Il testo da stampare doveva essere composto con una normale macchina Monotype e veniva salvato su un rotolo di carta perforata.
Il rotolo doveva poi essere montato sulla Monophoto. Inoltre l’operatore doveva inserire il font, sotto forma di matrice rettangolare nella quale erano inseriti i singoli caratteri in trasparenza su fondo opaco. Doveva inoltre effettuare varie regolazioni tenuto conto delle metriche impostate (c’erano apposite levette, ma in alcuni casi si trattava anche di avvitare e svitare). Bisognava montare poi un rullo di pellicola fotografica della dimensione giusta, già posizionato nel suo alloggiamento in camera oscura.
In caso di necessità si poteva sostituire il singolo carattere sulla matrice: bisognava svitare alcune viti ed effettuare la sostituzione con apposite pinzette.
Sorprendente vedere la complessità e l’ingegnosità del meccanismo: al giorno d’oggi i programmatori sono abituati a fornire le informazioni al computer in linguaggio di programmazione che è comunque umano, e poi qualche software lo tradurrà automaticamente in linguaggio macchina. All’epoca non c’era nessun tipo di linguaggio propriamente detto per spiegare alla macchina cosa doveva fare. Il funzionamento era determinato dal numero e orientamento di ruote dentate, dalla dimensione delle lenti, dalla posizione e dall’orientamento degli specchi.
Alcuni degli ingranaggi dovevano essere costantemente oliati.
La luce procedeva dall’alto verso il basso attraverso la matrice. Due specchi posti in basso la giravano prima di 45 poi di altri 45 gradi per proiettarla in alto verso la pellicola. Era lo spostamento di questi due specchi che faceva avanzare il testo sulla riga, mentre la lampadina e il supporto della matrice rimanevano fermi. Vista l’inclinazione degli specchi, la distanza dal foglio rimaneva costante: all’aumentare della distanza della lettera dal primo specchio e del secondo specchio dal foglio si riduceva il tragitto tra il primo e il secondo della stessa quantità.
Per costruire dei numeri frazionari in fase di composizione bisognava procedere da sinistra a destra: prima la prima cifra della riga superiore, poi il segno della frazione, poi si doveva premere un tasto che consentiva la doppia esposizione nella stessa posizione, poi premere il tasto che abbassava la posizione della nuova cifra, poi la prima cifra del denominatore; poi si continuava con la cifra seguente al di sopra della linea di frazione e poi si seguiva lo stesso metodo per la seconda cifra sotto la linea di frazione.
La macchina aveva un impianto elettrico automatico che bloccava tutte le operazioni in caso di malfunzionamento di una delle parti principali. Se la lampadina si fulminava, la macchina non continuava certo a lavorare sprecando tempo e pellicola.
La pellicola veniva tolta dal suo alloggiamento in camera oscura, e sviluppata secondo i normali metodi fotografici. Nella stessa occasione veniva montata nella scatola una pellicola nuova.
Il risultato poteva essere sia in positivo che in negativo, sia su carta che su pellicola trasparente.
Le conversioni potevano essere fatte con un’apposita macchina, ma chiaramente avevano un costo.
La bozza uscita con questo sistema doveva essere corretta, dopodiché bisognava digitare solo le righe corrette sulla tastiera per ottenere un nuovo rullo di carta perforata per impressionare una nuova pellicola da sviluppare.
L’impaginazione vera e propria doveva essere fatta a mano ritagliando con un taglierino il testo composto dal lucido, usando un’apposita riga e delle griglie per assicurarsi che le linee di taglio fossero perfettamente orizzontali.
Per spostare delle righe di testo era necessario un apposito nastro trasparente con cui venivano prelevate da una parte e appoggiate dall’altra, allineandole con la griglia sottostante.
Il motivo per cui questo passaggio era necessario derivava dal fatto che la macchina compositrice regolava soltanto font, dimensione e stile del testo senza tenere conto delle distanze dai bordi della pagina nel lavoro finale. Soprattutto, i vari paragrafi venivano messi uno di seguito all’altro. Nel caso in cui si volesse comporre un testo in cui a sinistra doveva comparire una scritta più in grande e a destra varie righe di testo più in piccolo, i due paragrafi venivano composti uno di seguito all’altro e poi incollati a mano nelle giuste posizioni (Quello che in un word processor si ottiene inserendo il testo nelle varie celle di una tabella, per esempio, o in cornici di testo diverse. ).
In questa fase si ritagliavano anche sia le righe sbagliate nel paragrafo, che venivano buttate via, sia quelle corrette nella nuova composizione, che venivano inserite nel testo al posto di quelle vecchie (con un passaggio abbastanza delicato per evitare di perdere l’allineamento).
Le tabelle con celle o colonne separate potevano essere realizzate sovrapponendo vari livelli. Esistevano dei fogli con le linee già pronte e spaziate in maniera uniforme, ma in caso di necessità era possibile disegnare le linee a mano su un foglio da mettere al di sotto del lucido col testo delle singole righe. Metodo che si usava in caso di tabelle con colonne verticali di dimensioni diverse.
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