I nomi italiani delle dimensioni dei caratteri
Wikipedia in inglese fornisce una tabella con i nomi di ogni dimensione e il valore corrispondente in punti. I nomi venivano scelti forse dal primo uso: il Canone è un libro molto grande che serve durante le celebrazioni della messa, ed è anche il nome di uno dei caratteri più grandi; il Primer è un libro di scuola. Il Breviario è un libricino, e anche una piccola dimensione dei caratteri (Brevier).
Su Wikipedia però mancano i nomi italiani. Che si trovano invece in un libro stampato nel 1887, la cui digitalizzazione si può trovare sul sito del Progetto Gutenberg (che pubblica le trascrizioni di libri d’epoca non più coperti dal copyright): A History of the Old English Letter Foundries, di Talbot Baines Reed.
In una tabella vengono fissate le corrispondenze tra i nomi in inglese, francese, tedesco, olandese (vista l’importanza storica degli incisori olandesi nel settore), italiano e spagnolo.
I nomi italiani sono, dal più grande al più piccolo: Corale, Canone, Sopracanoncino, Canoncino, Ascendonica, Parangone, Testo, Soprasilvio, Silvio, Lettura, Filosofia, Garamone, Garamoncino, Testino, Mignona, Nonpariglia, Parmigianina. Manca un nome corrispondente al Diamond, la più piccola dimensione conosciuta da inglesi, francesi, tedeschi e olandesi.
In certi casi c’è una corrispondenza diretta tra i nomi italiani e quelli esteri: Nompariglia corrisponde al francese Nonpareille e all’inglese Nonpareil, senza pari (uno dei più piccoli della lista).
In altri casi invece non c’è nessuna corrispondenza: la dimensione che in inglese si chiama Pica e in francese Cicero in italiano era Lettura. Il nome della dimensione Testo non somiglia neanche all’inglese Great Primer, ma all’olandese Text e allo spagnolo Texto. Il nome Silvio invece è originale.
Agli inglesi mancavano parecchi nomi per le grandi dimensioni. Hanno risolto raddoppiando le dimensioni inferiori: 2-line Pica, 2-line English, 2-line Great Primer, 2-line Double Pica. La più grande dimensione in inglese French Canon, corrispondeva alla francese Double Canon. Quello che in italiano si chiamava Canoncino in francese era Palestine.
L’autore specifica che la corrispondenza non è necessariamente perfetta, anche tenuto conto che paesi diversi usavano unità di misura diverse. Sono state scelte le dimensioni che si avvicinavano di più.
Non c’è stata una pianificazione iniziale. All’epoca non c’erano font scalabili. E neanche i pantografi. Ogni volta che serviva una nuova dimensione bisognava realizzare tutte le lettere a mano a partire da zero. Ogni volta che si presentava una nuova esigenza, c’era bisogno di preparare una nuova forma e dare il nome alla nuova dimensione. Non è detto che la misura fosse per forza proporzionale con quella degli altri font della stessa fonderia, né che fosse identica a quella di font simili di altre fonderie. L’importante era che i clienti di quella fonderia continuassero a ricevere in futuro font in quella stessa dimensione esatta e con lo stesso nome (altrimenti non si sarebbero potuti usare insieme coi caratteri già acquistati). Il fatto che le dimensioni non fossero compatibili con quelle delle altre fonderie non era un problema... fino a quando un tipografo non era costretto a cambiare fornitore!
Il primo ad elencare le varie dimensioni in Inghilterra è stato Moxon, nel 1683. Nella sua opera c’erano dieci nomi, e per ciascuno veniva specificato quante righe di testo entravano in un piede (unità di misura inglese). Il Pearl era la dimensione più piccola (184 per piede), seguivano, a salire: Nonpareil, Brevier, Long Primer, Pica, English, Great Primer, Double Pica, 2-line English e French Canon. Quest’ultimo era il più grande e prevedeva 17 righe e mezzo per ogni piede.
La dimensione Pica prevedeva 75 righe per ogni piede. Un’altra tabella nel libro di Reed confronta le varie misure che venivano fornite da autori diversi in epoche diverse. In effetti, dopo Moxon nel 1683, tutti gli altri danno la Pica attorno al settantaduesimo di piede (si va dal 71,5 di Smith nel 1755 al 72,5 di Figgins nel 1841 (per Caslon Thorowgood e Wilson, che scrissero tutti nel 1841, la dimensione era un settantaduesimo di piede).
Spesso i vari autori che compaiono nella tabella sono in disaccordo sulla misura precisa corrispondente alle varie denominazioni.
Per trovare una unità di misura unica che fosse uguale per tutti, nel settecento prima Fournier e poi Didot inventarono i loro punti tipografici (0,345 mm il primo, 0,375 mm il secondo). Nei computer si usa il punto Postscript (0,352 mm).
Mentre gli altri nomi in uso in passato sono scomparsi, la pica è tuttora una unità di misura che compare in alcuni programmi informatici, come Adobe InDesign e QuarkXPress. Corrisponde a 12 punti.
Wikipedia in italiano fornisce le varie misure: una pica corrisponde a un sesto di pollice, ossia un settantaduesimo di piede, cioè 4,23 millimetri.
Lo stesso articolo confronta questi valori con quelli in uso in passato in Francia e in America, e con la diversa pica che si usava nel mondo delle macchine da scrivere, dove indicava la dimensione per la quale ci sono dieci caratteri per pollice in orizzontale.
Il numero 72 quindi è rimasto: se anticamente la pica era definita come un settantaduesimo di piede, oggi il punto tipografico è definito un settantaduesimo di pollice, visto che ci sono 12 pollici per ogni piede, e 12 punti tipografici per ogni pica.
Dunque, in un pollice ci sono sei
piche: 72 è il risultato di 12 per 6. (Sei piche da 12 punti ciascuna, dove ogni punto è un settantaduesimo di pollice. Vi tornano i conti?).
Queste strane proporzioni sono uno degli ultimi residui del periodo precedente all’introduzione del sistema decimale, quando i numeri 12 e 6 potevano essere usati come base per formare dei multipli. Ne sanno qualcosa i nostri orologi, che ancora oggi segnano 12 ore (o 24, cioè due volte 12) da 60 minuti ciascuna.
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