Kharoshthi

Il Kharoshthi è un sistema di scrittura che si usava tra il quarto secolo avanti Cristo e il terzo dopo Cristo tra Pakistan e Afghanistan per scrivere in sanscrito e in gandhari.

Viene definito alfasillabario: è basato su consonanti, le quali subiscono variazioni grafiche a seconda delle vocali con cui sono legate.

Venne decifrato nell’Ottocento grazie a iscrizioni bilingue sulle monete (l’altra lingua spesso era il greco).

Non si sa se sia stato inventato di colpo adattando l’aramaico o se sia frutto di una evoluzione graduale.

Unicode ha riservato ai simboli di questa scrittura l’intervallo tra u+10a00 a u+10a5f.

Su Fontspace sono solo tre font che lo supportano: l’Unifont (dove le lettere sono composte di pixel), l’Mph 2b Damase (con i tratti disegnati in maniera un po’ rudimentale) e il Code 2003, dove le forme mi sembrano un po’ più armoniose (ma non lo sono affatto nella parte latina dell’alfabeto e nei numeri. Il font contiene oltre 65 mila caratteri. Si è puntato sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Tra faccine, animali, trenini, ideogrammi vari, l’intero file zippato pesa 18 megabyte).

La pagina in inglese di Wikipedia contiene numerose tabelle che mostrano non solo le varie lettere, ma anche il complicato modo con cui si combinano con i segni diacritici.

Il sistema che viene illustrato per indicare i numeri è di tipo additivo e moltiplicativo. I simboli vanno aggiunti uno dopo l’altro e sommati o moltiplicati secondo varie regole. L’enciclopedia indica solo 8 segni diversi: quelli per le unità da 1 a 4, per i numeri 10 e 20, per il numero 100 e per il numero 1000. Quindi per scrivere 1996 l’enciclopedia dice di scrivere 1000 4 4 1 100 20 20 20 20 10 4 2. Forse la cosa che lascia più perplessi è la moltiplicazione: il numero 900 è ottenuto con quattro unità, quattro unità e una unità seguite dal numero cento; (4+4+1)*100.

Per il resto, anche se il sistema può sembrare assurdo, non è molto diverso da quello che facevano i romani, accostando tra di loro le varie M, D, C, X per ottenere numeri più grandi. I romani non avevano il principio moltiplicativo ma avevano quello sottrattivo (IV significava 5-1, cioè 4), che nel sistema Kharosthi manca.

Su Wikipedia in inglese ci sono numerose immagini che mostrano la scrittura kharosthi nell’uso comune: monete, tavolette, piedistalli in pietra, ma anche qualche iscrizione più lunga come un editto dell’imperatore. 

Qualcuno chiedeva su Fontspace di creare un font con tutti i caratteri dell’Unicode 10 (il Code2003 è fermo a Unicode 7). Gli veniva risposto che è impossibile: i glifi previsti al momento sono 130 mila, mentre in un file ttf non ne possono entrare più di 66 mila.

In effetti non serve proprio a niente creare un font con tutti i caratteri possibili, tenuto conto che quei pochi studiosi che devono trascrivere il kharosthi non se ne fanno niente di faccine, scacchi, carte da gioco e alfasillabari dei popoli latino americani. Sarebbe molto meglio concentrarsi su quello che serve di volta in volta, e disegnarlo in maniera armoniosa. A partire dall’alfabeto latino, che è quello comune alla stragrande maggioranza dei font mondiali (75.640 dei font di FontSpace contengono questo blocco, al momento. A parte le estensioni del latino e qualcos’altro, solo il greco supera i 10 mila font in cui è presente sul sito, il cirillico non arriva a duemila - 1993 - e gli altri sono molto al disotto; arabo e ebraico sotto i 300 ciascuno).

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