Vari font con lettere ebraiche
I caratteri senza grazie sono quelli che si limitano ai tratti essenziali: la lettera aleph si ottiene con una barra obliqua dalla quale partono due tratti, uno che va in alto a destra l’altro che va in basso a sinistra.
Nei caratteri con grazie invece ci sono dei tratti aggiuntivi che servono per abbellire la lettera. Nella aleph ne vediamo uno sull’estremità in alto a destra, mentre in basso a sinistra si è ottenuto il tratto aggiuntivo semplicemente curvando improvvisamente l’estremità.
Un’altra differenza è che mentre i serif hanno parecchio contrasto tra i tratti sottili e quelli spessi, nei sans lo spessore di tutti i tratti è pressoché lo stesso, al netto di quelle correzioni che devono essere fatte tenendo conto che i tratti orizzontali tendono a sembrare troppo pesanti se dello stesso spessore di quelli verticali.
Nell’alfabeto latino le grazie prendono ispirazione dall’architettura. Alla base delle lettere sono orizzontali, e spesso anche nella parte superiore (nei bodoni o negli slab). Anche quando sono oblique, tendono ad essere rettilinee, in maniera tale da apparire progettate e non tracciate.
Invece nell’alfabeto ebraico il punto di riferimento è la calligrafia. Le grazie tendono a sembrare come se fossero state tracciate a mano, con un pennino largo e inchiostro liquido. Del resto lo stesso effetto riguarda le aste, che tendono ad essere ondulate.
Mentre nell’alfabeto latino le grazie normalmente sono più sottili delle aste, nelle lettere ebraiche abbiamo aste verticali sottili e grazie spesse e serpeggianti.
Non è necessario installare un nuovo font per vedere le lettere ebraiche. I principali font in dotazione supportano questo alfabeto. Per inserire le lettere in un documento usando OpenOffice Writer bisogna cliccare su Inserisci – Carattere Speciale e poi scegliere Ebraico Di Base nel menu a discesa.
L’ebraico si scrive da destra a sinistra, e questo può lasciare spaesato chi deve spostarsi in un testo ebraico usando il cursore. Infatti i tasti freccia non sono collegati alle direzioni, ma alle posizioni precedente e successiva nel testo. Quindi, se quando il cursore si trova sul testo in ebraico io premo il tasto Freccia A Destra sulla tastiera, il cursore si sposta verso sinistra, cioè verso la lettera successiva nel verso di lettura.
Il Times New Roman è un serif sia nella parte latina che in quella ebraica. L’Arial è un sans sia nella parte latina che in quella ebraica.
Si possono inserire le lettere ebraiche in un foglio bianco, copiarle, incollarle, convertire le lettere incollate in un altro font e vedere quali sono le differenze.
Anche il Gisha o il Calibri sono dei senza grazie. E sebbene a prima vista l’effetto che ottengono è pressoché lo stesso dell’Arial, in realtà contengono scelte notevolmente diverse per alcune lettere.
Ad esempio, la lettera samekh. Nell’Arial è praticamente una o: un cerchio. Nel Calibri è composta da un tratto unico che inizia in alto a sinistra e torna in alto a sinistra dopo un lungo giro formando infine un angolo retto. Nel Gisha la lettera è composta da due tratti, come fosse una D, ma con l’asta rettilinea obliqua.
La tendenza dell’Arial ad evitare spigoli si nota anche in altre lettere: shin, pe e tet, per esempio.
La lettera yod nel Gisha è una specie di accento, mentre negli altri due sans è praticamente rettangolare.
La lettera nun nella forma che assume in finale di parola, forma un angolo in alto solo nel Gisha, mentre negli altri due sans è rettangolare.
Le lettere qof e lamed invece sono in controtendenza: sono spigolose nell’Arial, ma non lo sono nel Calibri, mentre nel Gisha si preferisce arrotondare un angolo.
Altre lettere dove le differenze sono più evidenti sono bet e ghimel. Nel Calibri i due tratti della bet non si incontrano ad angolo retto. In Arial e Calibri il tratto corto della Ghimel è arrotondato all’ingiù, mentre nel Gisha è arrotondato all’insù.
Personalizzando l’anteprima su Google Fonts con le lettere ebraiche capita una cosa strana: inizialmente molti font mostrano di non avere il supporto per l’alfabeto ebraico. Poi col tempo la scritta inizia ad essere visualizzata con un normale carattere serif, uguale in forma e in proporzione in tutti i font privi di supporto (penso che dipenda dal browser).
Il primo alfabeto ebraico sans che compare è quello del Rubik, un font che non è poi così popolare.
Qui la struttura di base della res è ad arco rovesciato (come una U capovolta).
Nell’Heebo la stessa lettera invece forma uno spigolo in basso a sinistra, e il tratto centrale è staccato dal resto.
La lettera mem nella sua forma finale nel Rubik ha lo spigolo in alto a sinistra smussato, mentre nell’Heebo la lettera è a pianta rettangolare.
La lamech qui è formata da tre tratti rettilinei molto spigolosi, mentre nell’Arimo a parte il tratto rettilineo in alto a sinistra, il resto della lettera è a forma di C rispecchiata.
Scorrendo i serif, i primi font ad avere un risultato non standard sono Tinos e Cardo. Il primo con lettere semplici dai tratti sottili, il secondo con lettere dai tratti molto più spessi.
Più sotto si trova il Suez One, con tratti molto spessi in uno stile che si discosta di molto da quello dei serif.
Tra i sans, dopo Rubik, Heeblo, Arimo, Varela, Assistant e Almarai troviamo il Secular One che si distingue per i suoi tratti spessi, da poster.
Tra i display più popolari non c’è nulla, tranne alcuni font della fonderia Danh Hong in cui sono state messe lettere ebraiche sans accanto a quelle latine serif.
Il primo ad avere personalizzato la parte ebraica in questa categoria è forse l’Unifraktur Cook, che si è limitato ad aumentarne il peso. Un effetto non molto originale, tenuto conto che molti dei font di questa categoria possono essere inline, sporchi, tracciati a mano, arricciati o con tantissimi stili diversi, nella parte latina.
Tra gli script la sorpresa arriva quasi subito: l’Amatic, firmato tra gli altri da Vernon Adams e da Cyreal, con lettere strettissime dai tratti sottili monoline. Probabilmente il più originale tra quelli in cui mi sono imbattuto oggi.
Tra i monospace invece risalta il Cousine, di Steve Matteson. Che è sicuramente un monospace, che però manca nella parte ebraica di tutti quegli stratagemmi che si usano nelle lettere latine per ridurre lo spazio tra una lettera e l’altra. La I latina di solito viene dotata di grazie spropositate per renderla larga quanto una M. Nell’alfabeto ebraico invece lettere come vav o anche yod rimangono per forza di cose così come sono. E non c’è modo di risolvere questo problema, anche tenuto conto che qui le forme scelte sono quelle di un sans.
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