I primi caratteri tipografici romani

Sul sito I Love Typography si può leggere un dettagliatissimo resoconto (in inglese) dello sviluppo dei primi caratteri tipografici romani dal Quattrocento in poi.

All’epoca nel resto d’Europa andava di moda lo stile gotico. I caratteri usati da Gutenberg per i suoi lavori erano gotici. La tipografia venne importata in Italia da due monaci tedeschi stabilitisi a Subiaco, poco distante da Roma. Ma in Italia lo scenario era completamente diverso. Si era in pieno Rinascimento, gli umanisti cercavano i più antichi manoscritti che riuscivano a trovare, e avevano mitizzato l’antica Roma contrapponendola alla decadenza del medioevo.

Nella loro scrittura si ispiravano quindi ai caratteri romani: a quelli delle iscrizioni su pietra che si potevano vedere sui monumenti e si possono vedere ancora oggi, dove compaiono solo le maiuscole; e alle minuscole con cui erano stati scritti i più antichi manoscritti conosciuti all’epoca.

In realtà i romani usavano soltanto le maiuscole nei manoscritti. Le minuscole vennero elaborate gradualmente dopo la caduta dell’impero romano. Comunque questo nel Quattrocento non si sapeva: si leggevano i classici copiati dagli amanuensi in epoca carolingia (di Carlo Magno, ottavo-nono secolo) e quelle forme erano indissolubilmente associate all’Antica Roma.

Così i monaci tedeschi che arrivarono per primi a Subiaco (Sweynheim e Pannartz) dovettero fondere delle lettere completamente diverse rispetto a quelle che si usavano in Germania, ma molto simili a quelle che si usano ancora oggi.

Il sito mostra l’intero set di lettere realizzate dai due monaci, incluse legature e abbreviazioni varie in uso all’epoca, mettendo a confronto il primo tentativo realizzato a Subiaco con il secondo realizzato a Roma. Si notano parecchie scelte diverse nei due lavori. Talvolta si tratta solo della larghezza della lettera, altre volte proprio di diversa conformazione. Nella prima versione la M aveva i lati obliqui e nessuna grazia in altro. Nella seconda i lati erano paralleli e c’erano grazie anche sui due vertici superiori, spuntando sia verso l’esterno che verso l’interno. La I aveva una strana grazia a mezza altezza che poi venne abbandonata nei lavori successivi.

La pagina contiene varie immagini che mostrano l’apparenza delle stampe d’epoca.

In seguito l’articolo inizia ad esaminare i lavori di altri stampatori, sia quelli che operarono in Italia (tipo Jenson) sia quelli che operarono fuori dall’Italia.

Tra questi, il primo ad essere nominato è Rusch, famoso perché tra varie lettere di forma molto insolita (la A col trattino centrale in forma di v, la G che sembra un numero 6 molto panciuto), c’è anche una R che viene definita bizzarra, strutturata come fosse una A inclinata a sinistra a cui è stato aggiunto un circolino (qualcuno ha pensato fosse una fusione tra le iniziali del nome dell’autore).

Questi primi tentativi sembrano rozzi e malfermi ai nostri occhi. Le grazie non erano molto più sottili dei tratti, e mancava il raccordo curvo come nei caratteri delle epoche successive. Nelle minuscole poi, per le dimensioni ridotte, le grazie erano soltanto accennate. Talvolta le scelte erano incoerenti, tipo combinare un asse di simmetria quasi verticale per la O maiuscola con un asse obliquo per la minuscola.

Si trovano anche scelte assurde e inspiegabili: Zainer per esempio, oltre a disegnare una A con ingombrante terrazzo soprastante (grazie orizzontali a destra e sinistra della cima) e tratto centrale a v (tipo Algerian) disegnò una H che aveva un archetto che interrompeva a metà il tratto orizzontale, mai visto altrove.

Per quanto riguarda le dimensioni dei caratteri, gli specimen presenti nell’articolo sono spesso millimetrati. Inoltre in un apposito paragrafo vengono confrontate le dimensioni scelte dai vari tipografi prendendo come riferimento l’altezza della x (non si può parlare di corpo visto che i caratteri dell’epoca non sono arrivati fino ai nostri giorni, e che i punti tipografici vennero inventati solo vari secoli dopo).

Comunque, si dice che in gran parte dei testi del Quattrocento entravano 20 righe di testo in 100-115 mm. Questo significa 5-5,75 mm per riga, che in punti tipografici moderni dà un’interlinea di 14,2-16,3.

L’altezza della x di Sweynheym e Pannartz era di 2 mm. Tenuto conto che nel Times New Roman l’altezza della x è circa il 44% del corpo, diciamo che per ottenere una x in Times New Roman alta due millimetri bisogna impostare il carattere a 12,7. Insomma, le dimensioni non erano molto distanti da quelle che oggi sono considerate di default nei programmi informatici (che sono comunque maggiori rispetto a quelle che si trovano su libri, riviste, giornali, dove più o meno si usa un corpo 10).

Un paio di anni fa due ricercatori, Rafael Ribas e Alexis Faudot hanno prodotto 15 font che riproducono i romani del Quattrocento, e li hanno diffusi in download gratuito con licenza Ofl 1.1.

Tra questi troviamo i due di Sweynheim e Pannartz (quello di Subiaco e quello di Roma) e quello con la R bizzarra di Rusch.

I file si possono scaricare da Github, dove ci sono anche gli specimen in formato Pdf.

Gli ultimi aggiornamenti sul sito sono recenti (ultimo mese) e questo significa che gli autori stanno continuano ad aggiornare e integrare i file.

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