La linotype, la Unitype e la Rogers Typograph
Il linotipista spiega quali sono le varie fasi di funzionamento della macchina, e la apre pure per far vedere dove viene pompato il piombo fuso. A distanza si vede anche il braccio che riporta su le matrici, e si sente il suono che fanno queste ultime mentre tornano ciascuna nel suo scompartimento.
Sotto il video c’era il link al sito del museo che però non funziona più. Forse non c’è più neanche il parco. Che a quanto pare era un progetto interessante: raccoglieva una grande quantità di macchinari industriali. Quello che si vede nel logo, in coda al video, sembra essere un trattore a vapore (le ruote sono da trattore, la parte anteriore è da locomotiva).
Il californiano International Printing Museum ha invece realizzato un video di mezz’ora con montaggio professionale e colonna sonora per spiegare come funzionava la linotype e raccontarne la storia. La scena iniziale mostra un compositore che lavora a mano, prendendo i caratteri uno alla volta dai loro scompartimenti, per far capire come si lavorava prima dell’invenzione dei sistemi di composizione a caldo.
Addirittura nel video compare una Unitype, che è una macchina oggi dimenticata, che serviva a prelevare i caratteri metallici uno alla volta in maniera automatizzata, utilizzando una tastiera. Con l’invenzione della linotype questo sistema cadde in disuso, immagino per via del fatto che si rischiava sempre di rimanere senza caratteri, come ai tempi della composizione a mano. Nella linotype non c’erano i caratteri ma le matrici. I caratteri venivano fusi sul momento, e le matrici potevano essere riutilizzate da zero per le righe successive. A meno di non utilizzare tutte le matrici disponibili per una lettera all’interno di una sola riga (ad esempio digitando troppe volte la lettera i) con la linotype non si correva mai il rischio di finire le lettere (finché c’era la materia prima, ossia il metallo fuso nella macchina).
Per manovrare la Unitype servivano due persone. Una che digitava e controllava che il testo fosse corretto, l’altra che giustificava manualmente le righe una a una.
Ogni Unitype era progettata per una dimensione ben precisa: esempio 10 punti. Se si voleva una scritta in 12 punti, bisognava acquistare una macchina diversa, adatta per la nuova dimensione.
Quando nella battaglia per il controllo del mercato la Linotype vinse, ordinò la distruzione di tutte le Unitype esistenti. Ne restano pochissime. Quella in mostra nel museo proviene dal Kansas, da una piccola città. In base all’accordo relativo all’acquisto di una linotype, sarebbe dovuto arrivare qualcuno a prelevare la vecchia macchina. Il proprietario quindi la mise in magazzino e aspettò, solo che non si è mai presentato nessuno a ritirarla.
Un’altra macchina ormai sconosciuta, la Rogers Typograph, si basava invece sul principio che non bisognava inserire nella macchina dei caratteri tipografici già pronti: sarebbe stata la macchina a fonderli di volta in volta.
Come nella linotype, il risultato finale era una riga di testo. E questo fu l’elemento che non ne permise la commercializzazione negli Stati Uniti. La linotype esisteva già da qualche anno, e l’azienda che la produceva intentò una causa: anche se la macchina di Rogers era completamente diversa per aspetto e funzionamento, il fatto che producesse come risultato una riga di testo era sufficiente per stabilire che era stato violato il brevetto.
L’inventore fu costretto a cedere i diritti di produzione della macchina a degli imprenditori tedeschi, che la produssero e commercializzarono con successo in tutta Europa e nel nord Africa, specie nelle piccole tipografie e nelle città di provincia. Mentre la persona che usava una linotype non era in grado di ripararla, con la macchina di Rogers era facile imparare a fare entrambe le cose, data la semplicità del meccanismo. Per fare un esempio, la linotype aveva un ascensore che, al momento giusto, doveva prendere le matrici usate e portarle in alto per farle tornare nei loro scompartimenti. Nella macchina di Rogers invece lo stesso risultato si otteneva ribaltando a mano l’intera parte superiore della macchina. Le matrici, che prima si trovavano in basso, ora erano finite in alto e in base alla forza di gravità scendevano giù, andandosi a risistemare nei loro scomparti.
Ma Rogers è ancora presente nella storia, perché diede parecchi grattacapi alla Linotype, per via del meccanismo di giustificazione automatica del testo, che in realtà era stato inventato da qualcun altro precedentemente. Dopo una lunga battaglia fatta di minacce di denuncia per violazione di brevetti, in cui rientrarono anche i giornali che ormai usavano le linotype e che non volevano certo tornare ai tempi della composizione manuale, alla fine si giunse ad un accordo, e Linotype dovette pagare una cifra stratosferica.
Rogers entrò nell’azienda, e lì rielaborò l’idea che era stata alla base della sua prima macchina (matrici appese ai cavi) per creare la Linotype Junior, una macchina da vendere a poco prezzo per contrastare la concorrenza della Unitype. Stavolta le matrici venivano ricaricate in coda a tutte le altre (nel vecchio modello erano solo le prime ad usurarsi), e la tastiera era quella di una linotype standard, per cui qualsiasi linotipista era in grado di digitare il testo a occhi chiusi.
Anche le linotype junior vennero distrutte a fine vita, e ne sono sopravvissute solo un paio.
Tutto il video è in inglese, ovviamente, ma la cosa strana è che quando bisogna mostrare come si stampava su carta a partire dalle righe metalliche viene ripreso un filmato in bianco e nero che mostra un articolo con l’intestazione “Milano, La Gazzetta dello Sport”.
Il Los Angeles Times è arrivato a usare anche 120 linotype contemporaneamente, e l’ultima è andata in pensione nel 1974. Il New York Times ha dismesso l’ultima nel 1978.
I modelli più antichi avevano un font ciascuno, in una dimensione. Ma in seguito si produssero modelli con quattro font diversi, raramente otto.
Mentre si digitava il testo di una riga sulla tastiera, il testo della riga precedente era già in fase di fusione e contemporaneamente le matrici già usate per la riga ancora precedente venivano risistemate in automatico nei loro scompartimenti. Questo permetteva di fondere quattro o sei righe al minuto.
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