Spiekermann chiede aiuto

Erik Spiekermann è un noto designer tedesco. Ha collaborato con numerose aziende (tra cui Audi, Skoda, Volkswagen), con l’Economist, si è occupato della segnaletica delle ferrovie tedesche. Ha fondato Fontshop nel 1988 per distribuire i font digitali, ha disegnato vari caratteri tra cui Fira e Meta. Ha ricevuto riconoscimenti a livello internazionale.

Pochi giorni fa ha pubblicato un post sul suo sito, in tedesco e in inglese, nel quale chiede aiuto per il suo laboratorio P98a, che dall’inizio della pandemia è rimasto praticamente fermo e rischia di chiudere. C’è la possibilità che siano messe in vendita le presse da stampa come pure tutti i caratteri metallici. In pratica sarebbe come disperdere i tesori raccolti da un museo.

Per cui Spiekermann si appella a editori, aziende informatiche, istituzioni culturalmente impegnate, a fornire il loro contributo: “Non stiamo parlando di milioni, ma solo di una somma ragionevole per pagare l’affitto e due dipendenti”.

Per avere un’idea di come è fatto il laboratorio si può guardare un video di una mezz’oretta realizzato a novembre scorso per un convegno organizzato dall’Hamilton Woodtype Museum. (Sul mio browser ogni tanto si bloccava, ma bastava aggiornare la pagina e riprendere là dove si era interrotto. Non so se dipende dal mio computer o dal sito).

Come è facile immaginare, per chi non è del mestiere, sono presenti varie presse da stampa e vari armadi pieni di caratteri metallici. Ma questo non basta per ottenere un laboratorio funzionante. C’è bisogno di tanti altri strumenti d’epoca: righelli e calibri per misurare il corpo dei caratteri, strumenti con un quadrante a lancetta per misurare lo spessore della carta o dei caratteri. Non si tratta di optional: se caratteri e illustrazioni da inserire nella pagina non sono tutti della stessa identica altezza, la pagina non verrà inchiostrata in maniera uniforme. In caso di differenza infinitesimale bisogna intervenire, ad esempio incollando della carta sul retro di una lastra con l’illustrazione per raggiungere lo spessore richiesto.

Ma la tecnologia non è rimasta ferma all’epoca pre-digitale, tant’è vero che Spiekermann ama parlare di post-digitale. Grazie ai polimeri è possibile creare delle scritte in rilievo, magari da incollarsi su un fondo metallico che può essere spostato su una base magnetica per impaginarle in maniera diversa di volta in volta. Non solo: è possibile creare delle intere lastre con scritte e immagini, e con quelle stampare interi libri. Davanti alla videocamera non sembra che quei libri abbiano qualcosa di particolare, ma al tatto e ad uno sguardo ravvicinato si può notare che ciascuna lettera è incavata, per via della pressione sul foglio, e quindi è circondata da una serie di riflessi che non è possibile ottenere nella stampa offset. Con questa tecnologia è possibile stampare con metodi tradizionali a costi ridotti, ed utilizzando font che non sono mai esistiti nella versione metallica (o in legno).

Tra le altre macchine, c’è una Johannisberg che stampa su enormi fogli, grandi quattro pagine di quotidiano (otto facciate). Una macchina ingombrante e lenta, che comunque viene mantenuta in funzione realizzando dei progetti ad hoc.

In molte delle inquadrature Spiekermann indossa il camice bianco, per apparire come gli ingegneri dei vecchi tempi.

Uno dei poster realizzati recita: “Better done than perfct” (Meglio realizzato che perf[e]tto). Spiekermann ne spiega il senso: nel carattere a disposizione c’erano soltanto quattro e. O si cambiava tipo di carattere, o si utilizzava qualche stratagemma (fare una seconda impressione, magari in un altro colore), o si realizzava una scritta imperfetta. La sequenza del video è stata intitolata: “Usare i limiti a nostro vantaggio”. Effettivamente al giorno d’oggi nessuno pensa al fatto che si possano finire le lettere, visto che nei font digitali ogni lettera può essere usata un numero infinito di volte. Quindi realizzare un poster del genere può essere illuminante, può catturare un dettaglio fondamentale di un mondo ormai scomparso.

Tra gli altri progetti “stupidi” a cui ha lavorato Spiekerman, c’è anche la digitalizzazione di alcuni caratteri metallici a partire dai disegni originali d’epoca, per ottenere poi, tramite una macchina controllata da un computer, dei caratteri in legno da mettere nelle presse. Si parte dall’analogico, si arriva al digitale per tornare poi all’analogico. “Abbastanza stupido e costoso, ma qualcuno doveva pur farlo”, è la conclusione di Spiekermann al termine del filmato.

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