Manca una pagina di Wikipedia dedicata alla composizione a caldo

Su Wikipedia in italiano c’è una pagina dedicata alla fotocomposizione e una dedicata alla composizione tipografica in generale, ma manca una articolo dedicato al metodo della composizione a caldo.

Su Wikipedia in inglese c’è eccome, ed è anche bello lungo: si intitola “Hot metal typesetting” ed si sofferma sui vari tipi di macchinari usati in questo settore.

In italiano il tutto viene riassunto in sole sei righe dal titolo “composizione meccanica”, nell’articolo sulla composizione tipografica.

Ma che si intende per composizione? Al giorno d’oggi significa digitare un testo sulla tastiera per inserirlo in un documento digitale da stampare, o addirittura fare un copia e incolla istantaneo di un testo da un documento all’altro. In origine non era così semplice. Fino alla metà del Quattrocento la stampa non esisteva, e gli amanuensi dovevano tracciare a mano le lettere sulla pagina, posizionandole esattamente dove dovevano apparire nel lavoro finale, visto che non era possibile spostarle. E ripetere l’operazione per ogni copia. Quando venne inventata la stampa, almeno la composizione veniva fatta una volta sola, prima di stampare un numero illimitato di copie. Ma si trattava sempre di un’operazione laboriosa e manuale: bisognava prendere a mano i caratteri mobili in metallo dagli scompartimenti di un’apposita cassa, e allinearli nel compositoio a formare le varie parole. Questo procedimento rimase l’unico per alcuni secoli, e aveva alcune controindicazioni. Ci voleva tempo per prendere ciascun carattere da ciascuno scompartimento, e soprattutto per rimettere tutte le lettere al proprio posto una volta finito di stampare. Inoltre la quantità di lettere a disposizione era limitata. Volendo impaginare troppe pagine contemporaneamente si correva il rischio di usarle tutte. E in tal caso si dovevano bloccare le operazioni fino a quando non si fosse finito di lavorare con una delle pagine già composte e non si fossero rimessi a posto i singoli caratteri (oppure bisognava ordinarne di nuovi alla fonderia, ma la cosa aveva un costo notevole).

Il problema venne risolto nel corso dell’Ottocento, quando vennero inventati i sistemi di composizione a caldo. Ce ne furono vari, che si basavano su principi diversi. Un elemento fondamentale era la presenza della tastiera. Non bisognava più cercare manualmente lettera per lettera nella cassetta e disporla secondo il giusto orientamento: bastava digitare il testo sulla tastiera, e questo veniva composto in automatico. Inoltre non era necessario acquistare i caratteri dalla fonderia, perché nella macchina c’erano solo le matrici. Utilizzando del piombo fuso, la macchina era in grado di fondere i caratteri sul momento. Nelle macchine Monotype venivano fuori caratteri singoli, ordinati a formare le parole da stampare. Nelle macchine Linotype invece venivano fuori righe complete fuse in un unico blocchetto (line of type, riga di caratteri). Questo rendeva il testo più maneggevole nelle fasi di impaginazione, quando bisognava smistare le varie righe tra le colonne di un giornale. Non a caso il sistema della Linotype veniva usato nella stampa quotidiana, dove bisognava rapidamente impaginare il testo e cambiare magari l’impaginazione con l’arrivo di nuove notizie, mentre il sistema della Monotype veniva usato nell’editoria, dove i tempi erano meno frenetici e c’era invece l’esigenza di correggere qualunque errore di stampa senza dover digitare da capo l’intera riga.

I due sistemi differivano anche per la conformazione delle macchine e delle matrici. Le macchine Monotype erano composte di due parti: in una c’era la tastiera, con la quale il testo veniva memorizzato su un nastro di carta perforato; nell’altra veniva inserito il nastro e si otteneva in uscita il testo impaginato con i caratteri in rilievo. Questo permetteva di stampare a distanza di tempo di nuovo lo stesso libro senza dover digitare tutto da capo. Le macchine Linotype non memorizzavano da nessuna parte il testo da comporre (almeno in un primo momento), e univano le varie fasi nella stessa postazione: l’operatore digitava il testo, le matrici scendevano una a una da un serbatoio in alto, si allineavano a formare le parole, e tirando una leva venivano ricoperte da metallo fuso per cui un attimo dopo veniva fuori la riga di testo già solidificata. Le matrici tornavano automaticamente nei loro scompartimenti. Nelle Monotype invece tutte le matrici erano montate su un blocco unico, per cui occupavano meno spazio e non si spostavano da una parte all’altra della macchina.

L’articolo di Wikipedia in inglese elenca anche altre macchine: le Intertype, che erano concorrenti delle Linotype e funzionavano con lo stesso procedimento e le stesse matrici; e le Ludlow, che invece servivano per comporre i titoli o comunque le scritte di grandi dimensioni, da aggiungere manualmente al resto nelle fasi di impaginazione.

La prima Linotype nacque nel 1881, la prima Monotype nel 1896.

Questi sistemi continuarono ad essere usati fino agli anni Ottanta, anche se già da qualche decennio si cominciarono a sviluppare i sistemi alternativi. Iniziallmente si trattò di macchine per la fotocomposizione che tramite raggi luminosi attraverso finestrelle con le sagome delle lettere dell’alfabeto permettevano di creare fotografie dei testi da impaginare senza passare attraverso la fase della composizione a caldo. Si parlava in questi casi di “composizione a freddo”.

In seguito il sistema del raggio che passava attraverso delle matrici fisiche venne sostituito dal tubo catodico, che poteva proiettare su carta fotosensibile o su pellicola la forma di una lettera memorizzata su supporto magnetico e ricreata elettronicamente. A quel punto tutti i sistemi precedenti andarono in pensione, e in qualunque redazione, casa editrice, studio grafico o tipografia fece ingresso il personal computer per comporre, impaginare e visualizzare i testi.

I sistemi di composizione a caldo oramai sono improponibili, ma al giorno d’oggi sono ancora vivi coloro che all’epoca lavoravano con macchine di quel tipo. Per cui esistono molti video su Youtube in cui gli anziani linotipisti spiegano il funzionamento delle vecchie apparecchiature e talvolta le usano davanti alle telecamere o ai visitatori di un museo.

Alcune redazioni dei giornali, quando hanno buttato via tutte le pesanti e ingombranti linotype che non servivano più, ne hanno simbolicamente conservata una da esporre negli uffici o all’ingresso, a perenne memoria di quello che era stato il lavoro in redazione per tre quarti di secolo.

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