Poplar e la testata di Umanità Nova

Alla fine dell’anno scorso è cambiata la testata di Umanità Nova, storico settimanale anarchico fondato nel 1920 (come quotidiano) da Errico Malatesta. I caratteri originari, che erano sopravvissuti finora, sono stati messi da parte: si trattava di un sans serif rudimentale tutto maiuscolo. Adesso ci troviamo un altro sans, stretto e pesante, con lettere minuscole. La o ha i due fianchi verticali, la a ha una grazia in basso a destra, curva sotto e piatta sopra, che ricalca la corrispondente estremità inferiore della t. Solo le iniziali delle parole sono maiuscole.

Passo l’immagine al FontMoose di Devroye e il risultato è immediato: Poplar Font, disegnato nel 1990 da Barbara Lind sulla base di uno specimen di William Leavenworth datato 1830. Il proprietario del disegno è Linotype, mentre l’editore è Adobe. Sul sito dal 2007. La didascalia fa qualche accenno al fatto che le controforme di Leavenworth, sottili come fessure, sono una caratteristica unica nell’Ottocento, per i caratteri in legno. 

Su Fonts In Use ci sono 14 segnalazioni relative a questo font. 

E i caratteri usati in precedenza? Si trattava di un progetto abbastanza strano, per i nostri standard. La M aveva un vertice centrale molto appuntito, nonostante il notevole spessore delle aste oblique. La U aveva i tratti verticali sottili e quello inferiore molto, molto spesso, in basso quasi rettilineo in orizzontale. La V invece aveva il vertice inferiore come una linaea orizzontale, notevolmente più largo delle aste verticali singole, mentre l’angolo interno era curvo. L’apostrofo aveva la punta curvata verso l’esterno, secondo una convenzione che non si usa più e che si può vedere forse solo sulle vecchie carte d’identità cartacee (prima dei tesserini elettronici).

Ma la lettera che mi colpisce di più è la O. Il contorno esterno ricorda quasi la forma di un uovo, soprattutto in relazione al contorno interno, che è ellittico ma contentuto pressoché tutto nella metà superiore della lettera.

Qualcosa di simile, alla lontana, si può trovare nel Chorine Regular, dove però la forma di uovo è molto più marcata e la controforma molto più piccola. Nell’angolo interno della V manca qualunque accenno di tratto curvo, il bianco all’interno della U è molto più stretto, il vertice della M non è appuntito, ma soprattutto c’è una T che rovina tutto l’insieme (nel senso che lo distingue nettamente dalla vecchia testata del periodico): in questo font infatti, mentre la parte superiore della T ricorda quella di una maiuscola più stretta del normale, la parte inferiore curva verso destra, assumendo nel breve tratto orizzontale uno spessore spropositato.

La descrizione si limita a dire che è un carattere rétro, adatto per lavori psichedelici, che suona molto anni sessanta e settanta, oltre ad essere adatto per disegni contemporanei.

Il riferimento agli anni Sessanta non è da intendersi contrapposto agli anni dell’inizio del secolo. Infatti lo stile che sta alla base di molte elaborazioni psichedeliche di quel periodo deriva direttamente dai lavori risalenti ai primi anni del Novecento. Non a caso i font come l’Hippie Mojo, ispirati all’immaginario degli anni Sessanta, con tratti orizzontali inferiori di spessore spropositato, sono anche taggati Art Nouveau.

Negli anni 20 ovviamente la testata era in inchiostro nero (non c’erano altri colori a disposizione in tutto il giornale), mentre negli ultimi tempi era passata al rosso.

Una foto del primo numero del periodico si può vedere su Anarcopedia. Sotto la testata c’era una tabella di due righe con numero, prezzo e data più prezzi degli abbonamenti annuali semestrali e trimestrali per l’Italia e le colonie e per l’estero, nonché indirizzi e numeri di telefono.

L’impaginazione era in quattro colonne, senza fotografie ma con una grossa illustrazione a due colonne di larghezza, estensione a partire dal basso di oltre mezza pagina.

Il titolo di apertura era nelle due colonne centrali, “Verso il fallimento”, tutto maiuscolo in quei bei caratteri serif che si usavano all’epoca: R con gamba curva e appuntita che scende sotto la linea di base, M dai fianchi divergenti. Altri titoli, in colonna singola sono in sans serif, oppure, molto più frequentemente, in quello che mi pare essere l’introvabile (ormai) Barnum, un carattere strettissimo che veniva usato da numerosi giornali della prima metà del secolo, proprio per la sua caratteristica di far entrare tante parole nel più stretto spazio possibile. Il titolo “Le prigioni rigurgitanti di rivoluzionari” entra in una sola colonna, ma di altezza tripla rispetto al testo dell’articolo, e in neretto, per giunta.

Gli articoli erano scritti in serif, con qualche parola in corsivo (la città da cui proveniva la notizia, il nome del giornale da cui era presa), ma a sorpresa la prima colonna contiene un articolo di presentazione del giornale scritta in sans serif neretto. La dimensione delle lettere sembra la stessa rispetto a quelle degli altri articoli, ma lo spazio bianco tra una riga e l’altra è maggiore: dove ci entrano 10 righe di serif ce ne sono solo 8 di sans. 

Purtroppo invece Wikipedia mostra una prima pagina con didascalia “Riedizione anastatica del primo numero di Umanità Nova”. E però si vede da lontano che non può essere. Anastatico significa uguale all’originale (“procedimento di riproduzione litografica con cui si trasporta uno stampato direttamente su lastra ottenendo una nuova matrice”, secondo il Sabatini Coletti). In realtà, come si capisce leggendo l’articolo che compare nell’immagine, si tratta di uno speciale per festeggiare il novantesimo anno di esistenza del giornale (2010, quindi) sopra il quale è stata simbolicamente inserita l’intestazione del primo numero. Sulle lettere della testata si vedono le imprecisioni della stampa d’epoca, mentre nei testi del resto della pagina, impaginati a computer, no. Il titolo di apertura è neretto a tutta pagina (che all’epoca non si usava), in caratteri Bernhard Condensed (diffusi su tutti i computer grazie ai software da ufficio della Microsoft), mentre nell’articolo sottostante mancano le linee di separazione tra le varie colonne (che invece si usavano all’epoca), e c’è un disegno pieno zeppo di sfumature (sull’originale c’era solo il bianco il nero, con linee parallele tracciate vicine per ottenere un colore intermedio), col logo del giornale aggiunto in trasparenza (molto digitale, come effetto). Per il testo dell’articolo, a giudicare dalla U che ha l’asta verticale che spunta in basso a destra, immagino abbiano usato un Palatino corsivo, sempre in dotazione a tutti grazie ai software da ufficio.

Sul web si può vedere anche un poster degli anni Settanta dedicato al cinquantacinquesimo compleanno del giornale. I caratteri della testata sono pressoché basati sugli stessi principi di quelli delle origini, a parte la O che ha assunto una forma rettangolare con gli angoli smussati (non solo sul manifesto, ma proprio sulla testata del giornale di quegli anni). 

Nello stesso poster si vede anche una prima pagina col nome del giornale in negativo (caratteri bianchi su fondo scuro), e una con le due parole che compongono il nome divise su due righe.

In origine tutte le lettere avevano la stessa altezza, ma sul finire del secolo la U iniziale era diventata più alta, per fiancheggiare la scritta “settimanale anarchico” in caratteri serif svizzeri che compariva al disopra del nome, mentre l’impaginazione dei titoli sembrava quella di Repubblica dell’epoca (Times Bold?).

Ah, un’ultima nota sul Bernard, usato per il numero celebrativo. La versione Microsoft è datata 1993, quella Monotype, Identifont la data 1926, “un revival del Bernhard Antiqua Schmalfett, disegnato da Lucian Bernhard e originariamente pubblicato dalla fonderia Flisch nel 1912”.

1912 o 1926? O 1937, come trovo in una scheda della versione della Urw?

A quanto ho capito, il font originario disegnato da Lucian Bernhard (con la h) aveva delle forme particolari, con terminali a goccia molto esuberanti. Il revival del decennio successivo fece sparire queste stranezze sostituendole con delle normali grazie orizzontali. (E raddrizzò l’occhiello inferiore della g). E questa sarebbe la versione che Microsoft commercializza col nome di Bernard, senz’acca.

Insomma, è vero che nel 1920 caratteri di quel tipo erano in circolazione già da vari anni, nella loro prima versione, ma forse una v così ordinata come quella che si vede nel numero celebrativo non sarebbe stata sviluppata ancora per altri sei anni.

Concludo con un link al font gratuito Village su Font Space. Che ha una O a uovo e tratti orizzontali inferiori spropositati come quelli della testata storica di Umanità Nova. Però è più pesante, ed avrebbe bisogno di un’aggiustatina per quanto riguarda non solo il kerning (tra le lettere VA alla fine) ma anche la spaziatura in genere (tipo nel gruppo di lettere NIT, con le prime due lettere quasi attaccate tra di loro). Licenza freeware.

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