Quasi cinque anni che il Post non usa il tag Tipografia
L’ultima volta che il sito Il Post ha usato il tag tipografia è stato a dicembre 2016. Fra poco saranno passati cinque anni.
Il sito si occupa di informazione, ma anziché ricalcare in massa i lanci di agenzia cerca di pubblicare qualche articolo originale anche su questioni che altrimenti sarebbero passate inosservate.
Ha anche una bella testata, che che unisce un sans serif geometrico (con O perfettamente circolare, anche se diversamente dal Futura il puntino sulla i è quadrato) in colore nero con una S blu tratta da un alfabeto gotico. Il futuro e la tradizione del giornalismo, simboleggiate anche da un nome che ricorda sia la posta con cui arrivavano le notizie ai vecchi tempi (che ha dato il nome a molti giornali come il Washington Post) sia la flessibilità dei blog moderni (dove la parola post indica il breve articolo che viene postato sul sito).
L’ultimo articolo dedicato alla tipografia si intitolava “Come si fabbricano i libri” e conteneva tantissimi dettagli tecnici sulle varie fasi di stampa e di rilegatura, con accenni a quella che era la professione ai tempi dei caratteri in rilievo.
Gli altri articoli con lo stesso tag sono venti, e il più antico è del 2010 (“Chi vuole uccidere il Comic Sans”).
Tra gli altri, notiamo un pezzo dedicato al 125mo anniversario della linotype (2011); un pezzo del 2014 che partiva da una frase di Tobias Frere-Jones sulla difficoltà di scegliere il nome di un font, con vari specimen risalenti all’epoca in cui i font non avevano nome; e un altro pezzo del 2011 dedicato alla “complicata storia del Times New Roman”: era venuto fuori che i caratteri attribuiti a Stanley Morison in realtà somigliano a quelli contenuti in una proposta che la Lanston Monotype aveva ricevuto da parte di un designer di barche che voleva un font per il suo cantiere navale.
Difetto dell’articolo è che manca qualsiasi fotografia dei documenti d’epoca per rendersi conto della situazione. L’attribuzione del disegno a questo designer era considerata dubbia, mentre sul sito del giornale il carattere era attribuito, oltre che a Morison, anche a Victor Lardent, “che aveva disegnato alcune delle bozze”.
Ovviamente sul sito del Post sono stati pubblicati altri articoli che riguardano questo settore, ma sono stati usati altri tag. Quello in cui mi imbatto più di frequente è del 2015 e ha il fuorviante titolo: “Perché tutti i libri italiani sono in Garamond”.
L’articolo cominciava con un più realistico “Quasi tutti i libri italiani sono in Garamond”, con un elenco di tutti gli editori che avevano scelto la versione di Simoncini, a detta di un esperto: Bompiani, Sellerio, BUR Rizzoli, Feltrinelli, Salani, Longanesi, Guanda, Saggiatore, Nottetempo e Iperborea.
L’articolo conteneva un lungo excursus sulla storia dei caratteri tipografici, inclusi i sans, e non dava una vera risposta alla domanda iniziale: perché mai così tanti editori non usano qualcosa di diverso?
Non c’era il tag tipografia, ma c’era il tag font, che compare sul sito in una trentina di articoli (alcuni taggati anche “tipografia”), l’ultimo dei quali risale a febbraio 2020: “I font preferiti dagli scrittori italiani”. Il sito aveva collezionato testimonianze dirette di un buon numero di scrittori italiani contemporanei in merito al font che utilizzavano sul loro computer mentre scrivevano i loro romanzi (alcuni scrivevano ancora a mano).
In precedenza troviamo un articolo dedicato al Sans Forgetica, un sans serif con tratti mancanti e inclinato a sinistra che, dicevano, aiutava a memorizzare meglio dei testi; articoli dedicati all’Impact (“Il font dei meme”), al Comic Sans (“Come è nato: per un cane”) e al Noto (“Il font di Google per scrivere in tutti gli alfabeti”).
Nel 2011 un paio di articoli erano stati dedicati ai nuovi font del Corriere della Sera fresco di restyling.
Non mancano articoli sull’Helvetica e sul Gotham. Il primo taggato “font”, ottobre 2010, toccava l’annoso dilemma: si dice “i font” o “le font”?
Un articolo del 2014 partiva dalla proposta, che all’epoca fece scalpore, di usare il Garamond per i documenti dell’amministrazione americana per consumare meno inchiostro. Idea partita addirittura da un quattordicenne della Pennsylvania. “Il Garamond fa davvero risparmiare?”, era il titolo. Riassumendo la risposta di un esperto, l’ottimismo veniva ridimensionato. Non ci sarebbe stato un risparmio in termini di costi, perché l’amministrazione paga fornitori esterni in base alle pagine stampate, indipendentemente dall’inchiostro utilizzato, e usa tecniche diverse rispetto alle stampanti casalinghe. E poi a parità di corpo, le lettere del Garamond sono più piccole, quindi meno leggibili.
Tutti discorsi non troppo scientifici, molto lontani dal problema di base: si può usare un font diverso da quello attualmente in uso, al fine di consumare meno inchiostro senza perdere in leggibilità?
A giudicare dall’immagine contenuta nell’articolo sembrerebbe che il ragionamento fatto per promuovere il Garamond non ha nulla a che vedere con l’inchiostro, ma con lo spazio occupato. Abbiamo lo stesso testo in quattro versioni diverse: original, Garamond, Times New Roman e Century Gothic (non si sa cos’è l’original, e ovviamente ci manca il Comic Sans di cui si parla nell’articolo). In Century il testo occupa quasi otto righe, in original poco più di sette, in Times New Roman sei e un terzo, in Garamond... leggermente di meno (la e e il trattino della parola e-mail riescono a rientrare nella sesta riga anziché nella successiva).
Tutto qui? E tutta la stampa del mondo a discutere di questa proposta...
A proposito di spazio in meno: qualche tempo fa era stato lanciato un font per occupare più spazio del Times New Roman! Si chiamava Times Newer Roman ed era progettato per sembrare a prima vista perfettamente identico al suo predecessore, ma occupando 5-10% di spazio in più. Il target erano gli studenti svogliati che non riuscivano a raggiungere il limite di righe o pagine fissato dal professore e volevano barare, alterando le dimensioni delle lettere senza farsene accorgere. Ancora oggi esiste un sito ufficiale attivo in cima ai risultati di Google per chi cerca “Times New Roman larger”.
Lo stesso risultato si può ottenere cambiando le proporzioni delle lettere nel programma di videoscrittura: in OpenOffice basta cliccare sul testo selezionato col pulsante destro, Carattere, scheda Posizione, e poi Larghezza Della Scala 110%.
Lo stesso trucco si può usare al contrario, stringendo la larghezza della scala, ad esempio quando nella pagina successiva è rimasta da sola l’ultima parola del testo.
Spesso i giornali quotidiani fanno ricorso a queste tecniche, intervenendo impercettibilmente anche sulla spaziatura tra le lettere, per adattare il testo allo spazio a disposizione senza dover cambiare il corpo del carattere.
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