Pc Magazine 1991
Al giorno d’oggi l’esistenza dei
font è una cosa intuitiva, su cui non ci si sofferma più di tanto.
Un pc viene acquistato già con un buon numero di font scalabili già
installati, adatti per gli usi basilari (serif, sans, script,
monospace...) e il supporto per tutte le principali lingue del mondo.
Se c’è anche un pacchetto di software da ufficio, ecco che c’è
anche una collezione di font per usi display di tutti i generi, e non
solo. E se poi serve qualcosa di diverso, basta cercare sul web un
font adatto, anche gratuito (ad esempio su Google Fonts), scaricare,
cliccare su installa e da quel momento in poi lo si può usare. Inoltre grazie ai css il browser può visualizzare una pagina web anche utilizzando un font che non è installato sul computer dell’utente.
In realtà non è sempre stato tutto così semplice. All’inizio degli anni Novanta il mondo dei font era ancora un mondo per iniziati, comprensibile solo a chi aveva tempo per studiare i dettagli tecnici. I font scalabili erano una novità, e c’erano varie tecnologie in competizione tra loro.
Su Google Books è possibile leggere per intero, gratuitamente, un numero della rivista in inglese Pc Magazine, datato settembre 1991, dove i font scalabili erano la storia di copertina. Le pagine tra la 111 e la 185 erano dedicate ai caratteri tipografici che ci si poteva procurare (fra tantissime pubblicità che spezzavano l’articolo), con schede dedicate alle offerte di nove venditori: Adobe, Agfa, Bitstream, Casady & Greene, Digi-Fonts, Dtc MasterWorks, Image Club Typeface, Linotype e Monotype. Alcuni di questi nomi sono sopravvissuti fino ad oggi, magari accorpandosi tra di loro, altri invece sono rimasti sconosciuti.
Fino a poco prima i documenti stampati a computer potevano essere impaginati soltanto in caratteri monospace, trasferiti sulla carta con stampanti a matrici di punti in bassa risoluzione (magari otto bit per l’altezza e otto per la larghezza). Con la LaserJet della Hewlett-Packard e altre stampanti laser a basso costo arrivarono anche i caratteri a larghezza proporzionale (dove la M è più larga della l), e fu una vera e propria rivoluzione, dal punto di vista visivo. In una prima generazione, si trattava di caratteri bitmap, utilizzabili in una sola dimensione. Per scritte in dimensioni diverse c’era bisogno di font diversi. Con la seconda generazione arrivarono i font scalabili: con un solo file installato si potevano ottenere scritte in dimensioni diverse.
Stiamo parlando di Times Roman e Helvetica, o i loro equivalenti, ossia gli unici due tipi di carattere installati di default all’epoca sulle principali stampanti laser. Il continuo uso annullò l’effetto sorpresa, per cui nacque l’esigenza di procurarsi anche dei font diversi. “Fino a poco tempo fa, i caratteri aggiuntivi richiedevano elaborate utilities per il font-management che scoraggiavano tutti tranne gli utenti più esperti e determinati”, diceva l’articolo del 1991. Ma i miglioramenti del software e la messa a punto di standard stabili nel settore aveva permesso di aggiungere nuovi font “quasi senza sforzo”.
Il passaggio dei caratteri alla stampante era ancora un’impresa laboriosa, che occupava “da pochi secondi ad alcuni minuti in più” per ottenere una pagina derivata da font scalabili rispetto a una derivata da font bitmap. Per aumentare la velocità delle operazioni, esistevano delle stampanti su cui si poteva memorizzare un certo numero di font, in modo da non dover ritrasmettere le informazioni ogni volta che si stampava un documento.
Il formato di font scalabili dominante sul mercato era il Type 1, sviluppato dalla Adobe, ed era in origine un formato proprietario. L’anno precedente però, quando Apple e Microsoft avevano annunciato l’intenzione di sviluppare una tecnologia alternativa in competizione con quella della Adobe, l’azienda aveva deciso di pubblicare tutte le specifiche del formato, incluse le tecniche di hinting. Inoltre aveva realizzato un software per Windows che permetteva di usare i font Type 1 non solo con le stampanti PostScript, ma anche con le Hp LaserJets e tutte quelle supportate da Windows. In questo modo lo standard aveva la possibilità di diventare universale.
C’erano altri standard competitivi che si spartivano gran parte del mercato. Intellifont, sviluppato da Agfa e Hp, e la tecnologia Speedo messa a punto dalla Bitstream, che agiva sul lato software anziché sul lato stampante. I font Speedo erano solo quelli della Bitstream, ma si poteva scegliere tra circa 1100 caratteri diversi.
Oltre ai formati dominanti, ce ne erano molti altri, proprietari, di produttori minori. E con il lancio di Windows 3.1, sarebbe arrivato un nuovo formato leader, il True Type, che già si era affacciato sul mercato la primavera precedente col Macintosh System 7. Apple stava già preparando le contromosse.
In una delle schede pubblicate in quel numero della rivista vengono confrontati fra di loro i vari Garamond, e viene nominato e mostrato anche quello disegnato in Italia da Simoncini. Nelle altre, si esamina l’offerta dei font principali dei vari produttori.
Scorrendo le varie liste, gli utenti Microsoft possono riconoscere tanti nomi noti, soprattutto nelle offerte di Adobe (Eras, Lucida, Tekton, Trajan...) e Monotype (Bell, Centaur, Times New Roman...), ma anche in quella di Linotype (Copperplate Gothic, Mistral).
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