Hound Dog Press

Su Youtube si può vedere una conferenza del 2015 in cui viene presentata l’attività di HoundDog Press, un laboratorio in Kentucky che stampa ancora con i vecchi caratteri in rilievo e le vecchie presse.

I prodotti che ne vengono fuori sono molto costosi: un biglietto da visita può costare più di un dollaro (il prezzo nel 2015 era di 110 dollari per 100 biglietti, 65 per altri cento, dai 500 in su i prezzi sono personalizzati). Ovviamente l’attività non è competitiva rispetto a quelle che usano tecniche più moderne, però attira dei clienti tra coloro che ci tengono a distinguersi per i dettagli e hanno bisogno di qualcosa di più ricercato. 

Le macchine sono tarate per imprimere una forte pressione su carta morbida. Un risultato che ai vecchi tempi era sconsigliato, perché rischiava di danneggiare i caratteri, ma che lascia sulla carta un segno inconfondibile che distingue questo tipo di stampa da tutti gli altri metodi e che ovviamente è impossibile replicare con le stampanti casalinghe. Il fatto che le lettere appaiano incavate sul biglietto è proprio ciò che costituisce l’attrattiva di questa tecnica.

Spesso il laboratorio deve occuparsi ogni giorno di uno o due lavori. Che non significa cliccare un pulsante ed aspettare che la macchina esegua, ma vuol dire passare l’intera giornata ad occuparsene: bisogna comporre a mano, caricare l’inchiostro, inserire un foglio alla volta nella macchina, e ripetere tutte le operazioni per colori diversi, visto che con questa tecnica si può stampare solo con un colore alla volta (si comincia dal più chiaro e si finisce col più scuro). Tra le varie operazioni e a fine giornata poi bisogna pulire la macchina. Insomma si tratta di un lavoro in cui gli automatismi sono ridotti al minimo.

Il fatto che si usino caratteri d’epoca non significa che non si possano inserire nei prodotti finiti delle grafiche più moderne: grazie alla tecnologia del fotopolimero, qualunque disegno digitale o anche un documento impaginato a computer può essere trasformato in una lastra in rilievo da inserire nella vecchia macchina da stampa.

Inoltre è sempre possibile procedere alla vecchia maniera, intagliando a mano un disegno su una lastra di linoleum. 

Parte della presentazione di 20 minuti è dedicata ad un rapido excursus sulla storia della stampa da Gutenberg in poi. Tra l’altro, nelle slide si vede la disposizione dei caratteri mobili all’interno di una delle casse che venivano usate dai tipografi ai vecchi tempi. Le lettere minuscole erano disposte in maniera tale che quelle più usate si trovavano al centro, ed avevano degli scompartimenti più grandi per essere più facilmente accessibili e per poter ospitare un numero di caratteri maggiore. Quelle meno usate si trovavano ai bordi. Le maiuscole invece erano disposte in ordine alfabetico e avevano degli scompartimenti di uguali dimensioni. C’erano però due eccezioni: la J e la U, che invece di trovarsi nella loro posizione erano alla fine dell’alfabeto, dopo la Z. Perché? Perché in origine queste due lettere non facevano parte dell’alfabeto. Sono state aggiunte in seguito, e posizionate in fondo per non interferire con gli automatismi dei tipografi, che ormai pescavano a occhi chiusi seguendo l’ordine tradizionale.

Originariamente le maiuscole erano nella cassetta superiore e le minuscole in quella inferiore (upper case e lower case, da cui i nomi usati ancora oggi in inglese per indicare le maiuscole e le minuscole), ma a un certo punto venne messa a punto anche un’unica cassetta contenente sia le maiuscole che le minuscole: queste ultime si trovavano nella parte sinistra della cassetta, occupandone circa due terzi della larghezza, mentre lo spazio restante sulla destra era destinato alle maiuscole.

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