Bogart
Fino all’inizio dell’Ottocento una fonderia produceva principalmente caratteri per i libri. Romani e italici per i testi, mentre quelli per i titoli non erano altro che versioni ritoccate delle stesse lettere. Poi arrivarono gli “egizi”, slab e sans serif, e poi i caratteri fantasia e decorativi.
Oggi, sfogliando i siti web, si trovano in gran parte caratteri fantasia, e bisogna fare un po’ mente locale se si cerca qualcosa per i testi. Anche perché i siti forniscono specimen automatici tutti nella stessa dimensione.
La fonderia italiana più appariscente, Zetafonts, al momento vede come font più scaricato su Dafont (solo in versione di prova gratuita), il Cocogoose (3.333 download ieri, 4 milioni totali), seguito dal Coco Sharp. Sono due versioni dello stesso sans serif, la prima con angoli leggermente arrotondati la seconda con angoli retti. Più avanti si trovano altri “coco” che ripropongono la stessa idea in varie versioni (più classica, più stretta...).
Al terzo posto c’è l’Arsenica, serif display con molto contrasto, con punte sottilissime.
Troviamo poi caratteri da locandina cinematografica, una specie di Bahnschrift, corsivi calligrafici irregolari con varianti contestuali, un altro serif con contrasto anche maggiore (Erotique) eccetera. Niente che si discosti molto dalla tradizione, ma neanche qualche romano con cui comporre un testo.
Quello che mi colpisce alla fine è il Bogart. Che nell’anteprima appare grassetto ma è disponibile in nove pesi più italici, da Thin a Black.
Il disegno risale al 2020, autore Francesco Canovaro, “omaggio personale all’aspetto iconico di caratteri pesanti oldstyle con poco contrasto come il Cooper Black del 1922 e il Goudy Heavy Face, 1925-32”, dice la didascalia. Derivanti dal Bookman, queste forme hanno trovato il loro status nella cultura pop coi trasferelli e sistemi di fotocomposizione degli anni Sessanta e Settanta.
Canovaro ci ha inserito anche l’influenza del Windsor, ad esempio nelle gambe inclinate di n e m.
Il nome deriva dall’attore Humphrey Bogart, a evocare atmosfere vintage. Rigirando una battuta di un suo film è stato ottenuto lo slogan di lancio: “I caratteri tipografici non sono mai così buoni da non poter essere migliorati”.
Ma il font va bene per impaginare un testo?
Provo a installarlo e dare un’occhiata. La prima cosa che si nota è che è molto più ingombrante del Times New Roman. Per ottenere un risultato simile al Times New Roman in corpo 12 bisogna impostare il corpo del Bogart a 10,5, e comunque rimane parecchio bianco tra una riga e l’altra, quindi bisogna ridurre l’interlinea (a circa 0,49 cm).
Non ho stampato, ma sullo schermo c’è qualcosa di impercettibile che mi spiazza un po’. Lo spazio tra le lettere, che non mi pare costante. A volte le g o altre lettere simili sembrano troppo vicine alle lettere circostanti. C’è da dire che l’effetto cambia a seconda di quanto si ingrandisce il testo. Alcuni tratti contribuiscono a movimentare un po’ il tutto. Ad esempio le gambe inclinate di m e n. O lo scatto che fa la f, in alto. E poi la strana v, che ha l’asta destra che si arriccia verso l’interno come se fosse una lettera a metà italica.
Fonts In Use segnala un solo uso del Bogart, risalente a ottobre scorso. Una Ong spagnola ha prodotto del materiale promozionale facendo largo uso di questo carattere, per logo, titoli di varie dimensioni e anche paragrafi di testo in piccolo.
Per le infografiche è stato usato un monospace di un’altra fonderia.
Il risultato è soddisfacente, dà agli stampati un aspetto molto umano e familiare.
Da quello che si vede nelle foto, le particolarità del carattere e la vicinanza tra le lettere non creano problemi sul foglio stampato. La y ha la stessa conformazione della v, e visto che il materiale è scritto in spagnolo compare molto spesso. La a si fa notare a volte perché ha l’asta inclinata come la n e la m, e questo la allontana un po’ da lettere che può trovarsi alla destra, come la f o la l.
La e col trattino obliquo praticamente non fa notizia, in questo contesto.
Ingrandendo le lettere del font installato, noto le grazie inclinate sul tratto centrale di E e F, e soprattutto la conformazione di C-G-S, che hanno uno strano terminale a goccia, senza sperone.
Tra i font più trendy di Google non trovo niente di simile, su quest’ultimo dettaglio. Qualche goccia c’è, ma si gonfia improvvisa, e non gradualmente come nel Bogart.
Per finire, Identifont permette di confrontare a vista il Bogart Black col Cooper Black, anche se non ha schedato le differenze. La Q del Bogart ha la coda che non fa lo zigzag. Entrambi i font hanno il lato sottile della x suddiviso su due rette parallele, anche se chissà perché nel Cooper la X maiuscola non compare nell’anteprima. La g del Cooper ha l’occhiello inferiore aperto.
I numeri non sono disponibili nella versione di prova del font.
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