Cinque anni
Un altro anno di attività di questo blog è completato. Diamo un’occhiata, come al solito, a quali sono stati i post più visualizzati in assoluto.
Al primo posto troviamo quello sui cartelli stradali, che risale al lontano 2017. Fino a quel momento non avevo mai pensato al fatto che il font usato potesse avere un nome e una storia. Sul web c’erano poche informazioni superficiali e frammentarie. Gli esempi erano pure sbagliati: in uno la forma delle lettere era approssimata come un insieme di segmenti, in un altro c’erano lettere attinte ad un font non identificato.
A ottobre scorso un utente ha commentato, riconoscendo che questo font estraneo era l’Avenir. E questo mi ha spinto a fare qualche altra ricerca, da cui è venuto fuori il link a un pdf che contiene le scannerizzazioni originali, forse dalle pagine della Gazzetta Ufficiale del 1992.
Al secondo posto c’è l’articolo dedicato all’alfabeto segreto delle Giovani Marmotte. Che non è affatto un tema tipografico, visto che nessuno ne ha mai realizzato un font. Si tratta di un alfabeto inventato da una rivista di fumetti italiani della Disney negli anni Novanta, che veniva effettivamente utilizzato dai lettori per comunicare con la redazione. I bambini scrivevano a mano le lettere, le imbustavano, affrancavano, imbucavano e attendevano che venissero pubblicate nell’apposita rubrica. Era stato realizzato anche un normografo per chi si abbonava.
Per decidere la forma delle lettere era stato usato un metodo molto semplice: si erano scelti degli oggetti la cui iniziale corrispondeva a ognuna delle lettere dell’alfabeto, e si era creata poi una versione stilizzata del disegno, facile da riconoscere e da ricordare (a-arco, b-bosco, c-canoa...). Un gioco per bambini, certo, ma che segue lo stesso schema che ha portato alla nascita dei veri alfabeti nel corso della storia (la lettera A è la stilizzazione di una testa di bue, animale che i fenici chiamavano aleph).
Al terzo posto troviamo un articolo dedicato ad un museo che espone vecchi caratteri in legno. Nel testo si parla anche delle tipografie novecentesche, e si finisce a parlare del film La Banda Degli Onesti con Totò e Peppino. Il motivo del gran numero di visite deriva proprio dal fatto che Google ha messo il post in evidenza fra i risultati di chi cerca informazioni sulla pedalina Bordini e Stocchetti di Torino, che è la star del film, ma di cui sul web si parla ben poco. Normalmente le visualizzazioni di quel post aumentano tutte le volte che la Rai rimanda in onda la pellicola. Evidentemente gli spettatori si incuriosiscono e vogliono saperne di più. Il nome dell’industria non risulta da nessuna parte, può darsi che la macchina fosse una pedalina Saroglia, sempre di Torino.
Segue il primo post che avevo scritto quando Repubblica aveva annunciato il suo nuovo “carattere”, Eugenio, in realtà una famiglia comprendente un serif per il testo, un altro per i titoli, e un sans serif in vari pesi. In quella occasione era uscita soltanto l’anteprima, mentre pochi giorni dopo venne svelato l’intero progetto, così rivoluzionario da essere praticamente un fallimento e provocare nel giro di poco tempo un netto marcia indietro: l’intestazione delle pagine veniva scritta in verticale, come per i cartelli dei motel, i numeri avevano cambiato di posto, la data del giorno veniva scritta in maniera innovativa e difficile da riconoscere. I titoli della sezione cultura erano leggerissimi, tanto da non sembrare titoli. E poi le fotografie venivano impaginate addossandole ai bordi... Scelte che evidentemente non sono state apprezzate dai lettori, per cui ora il giornale è tornato ad una impaginazione tradizionale, né mi risulta che altri giornali abbiano fatto scelte del genere. Nulla da dire sul font, invece che è tuttora in uso non solo sul cartaceo ma anche sul sito.
Nella posizione successiva c’è un post un po’ intricato in cui cercavo di definire la dimensione del corpo del carattere, questione molto complicata perché se da un lato c’è una corrispondenza univoca tra punti tipografici e millimetri (alla dimensione 12 corrispondono 4,22 millimetri), dall’altro non c’è nessun elemento misurabile del carattere che corrisponda a quella dimensione, neanche l’interlinea!
L’ultimo dei post premiati maggiormente dalle statistiche, ahimè, riguarda il font usato nel green pass, il più visto negli ultimi 12 mesi. Sono possibili due ipotesi: o la gente ha apprezzato le scelte tipografiche del Governo e ne è rimasta incuriosita, oppure un sacco di persone hanno provato a falsificare il green pass per motivi imprecisati. Tenderei ad escludere la prima possibilità: a quanto ho potuto vedere le scritte sono in Arial (anche se sarebbero dovute essere in Helvetica, credo). In effetti, a differenza di documenti e banconote, nei certificati vaccinali non sono stati utilizzati i normali dispositivi di sicurezza per garantire autenticità della carta o delle scritte, ma si è puntato tutto sull’algoritmo che genera e verifica il qrcode.
E poi? E poi troviamo il post dedicato alla scritta sui cancelli dei campi di concentramento nazisti (immagino gli utenti ci finiscano per motivi che non hanno nulla a che vedere con la tipografia); il font usato per la nuova Panda (buco nell’acqua, non ho trovato neanche il nome di chi ci ha lavorato, però ho trovato qualche informazione su De Macchi che aveva disegnato un font usato in una precedente campagna pubblicitaria Fiat); le scritte di sicurezza delle vecchie carte d’identità; qualche tutorial per usare OpenOffice (i finti timbri, i calendari, ruotare i testi, aggiungere i capolettera).
E poi roba secondaria: un altro post sulle pedaline; i font usati da La Stampa (buco nell’acqua, ho provato a usarne un paio presi da Google Font per ottenere un effetto simile), un giornale degli anni quaranta, qualche definizione tipografica (il piede di mosca); una panoramica sui font taggati low-waisted (a vita bassa, ossia con lettere a baricentro ribassato).
Infine un post dedicato a Morris Fuller Benton, uno dei più prolifici font designer di tutti i tempi, di cui qualcuno ha insinuato che non abbia mai disegnato nulla in vita sua, suscitando un vespaio di polemiche.
Benton è stato il caporeparto della American Type Founders tra il 1900 e il 1937. Tutti i progetti portati avanti dalla fonderia in quel periodo sono passati dalla sua scrivania, e sono attribuiti a lui, anche quando l’impulso originale è nato altrove o se alcune delle soluzioni adottate sono partite dai disegnatori del suo staff.
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