Font fuori posto nei film

Nel 2001 il famoso type designer Mark Simonson scrisse un post nel quale dava il voto ai vari film per il modo in cui avevano gestito le scelte tipografiche.

Gran parte della gente non fa caso a questi dettagli, ma gli addetti ai lavori notano se c’è un font degli anni Settanta in un film ambientato nei Cinquanta.

In teoria la produzione del film dovrebbe essere attenta ad ogni dettaglio. Oltre a procurarsi vestiti d’epoca, auto d’epoca e location dove ci sono edifici dello stile giusto, dovrebbe occuparsi anche delle scelte tipografiche. Giornali, insegne, biglietti, cartelli vari dovrebbero essere compatibili col periodo in questione.

In alcuni film viene segnalato un gran bel lavoro, in altri scelte altamente anacronistiche, come l’uso del Chicago (anni Novanta) per le insegne sui palazzi degli anni Cinquanta.

Simonson aveva poi inaugurato una sezione del suo blog dedicata alle ulteriori segnalazioni su questo argomento. Che ha portato avanti fino al 2013 (comunque il blog continua ad essere aggiornato).

L’ultimo post è dedicato ad una serie di Fox ambientata nel rinascimento italiano, in cui campeggia un’enorme insegna in Gotham sull’ingresso di un negozio.

Scelta assurda non soltanto per il fatto che il Gotham, disegnato negli anni Zero, è basato su caratteri sviluppati nel ventesimo secolo. “L’idea che una grande insegna pitturata potesse apparire su un edificio, come mostrato qui, è anche più anacronistica della scelta del Gotham”, scriveva Simonson. “Le insegne come questa non esistevano fino al diciannovesimo secolo, dopo la rivoluzione industriale e l’ascesa delle imprese commerciali e della pubblicità. Quasi nessuno nel Rinascimento sapeva leggere, quindi un’insegna del genere sarebbe stata inutile in ogni caso. Se ci fosse stata un’insegna, poteva essere forse una piccola iscrizione vicino l’entrata del palazzo, o più probabilmente qualcosa con un simbolo o un’immagine”.

Nel 2009 Simonson spiegava che spesso alla gente sembra strano che per molti dei testi risalenti a prima degli anni 60 e 70, ad eccezione di libri, giornali e altro materiale cartaceo, non ha senso proprio chiedersi di che font si tratta, visto che non si tratta di font.

“Non è sorprendente che molte persone (inclusi i giovani designer) diano per scontato che qualunque scritta vedano là fuori sia realizzata usando dei font. Nel mondo moderno, hanno ragione. I computer hanno reso possibile usare i caratteri tipografici in qualsiasi grandezza, sia per la più piccola nota sul retro di una carta di credito che per lettere alte parecchi metri sulla facciata di un palazzo. Ma non è sempre stato così. I caratteri tipografici non sono sempre stati così flessibili. Esistevano come forme in rilievo su piccoli pezzi di metallo o talvolta legno. Venivano venduti solo in certe dimensioni ben precise. Il numero di stili disponibili era molto piccolo … Non potevi rovesciarli, cambiarne la dimensione, stamparli su una foto, renderli multicolori, cambiarne le proporzioni, distorcerli, far loro seguire una linea curva o ondulata e neanche impaginarli ad angolo”.

L’unica soluzione era rivolgersi a pittori di insegne e artisti del lettering.

Anche i titoli dei film d’epoca (non si sa fino a quando) erano probabilmente realizzati a mano.

Un post curioso segnala come anacronismo l’uso del Garamond per un biglietto dell’epoca della guerra civile americana. “Ora, voi direte che il Garamond dovrebbe andare bene perché i caratteri originali di Garamond risalgono al Cinquecento, che è ben prima del 1860. Il fatto è che furono usati solo nel Cinquecento, e caratteri simili non furono visti di nuovo fino a quando vennero riportati in vita intorno al 1920”, dice Simonson.

Un paio di film citati sono stati nominati anche su questo blog.

Uno è L’uomo che uccise Liberty Valance. Io lo avevo citato perché non ero sicuro che un giornale dell’epoca sarebbe stato impaginato con un titolo cubitale con caratteri come quelli. A Simonson invece hanno segnalato che la testata del giornale è in Cooper Oldstyle, del 1918, mentre il film è ambientato intorno al 1880. 

L’altro film è Ritorno al futuro. Su questo blog se n’è parlato per via degli strani titoli dei quotidiani. Simonson invece nota l’assurda pietra tombale del dottor Brown, morto nel 1885, realizzata anche in Helvetica e Eurostile. 

In altri post si discute su quanto sia appropriato l’uso dell’Helvetica in film ambientati nella prima metà del Novecento. Qualcuno ha fatto notare che le forme dell’Helvetica non nascono dal nulla, ma derivano dall’Akzidenz-Grotesk, che è in giro dal 1898.

E infatti ad un occhio distratto i due font sono indistinguibili, specie nelle inquadrature mosse di un film.

Identifont segnala in automatico solo quattro differenze: la gamba della R, la coda della Q, l’estremità inferiore della J e la grazia sull’estremità superiore del numero 7.

Io ci aggiungerei anche la curvatura sul numero 2.

Oltre ovviamente alla questione delle estremità: l’Helvetica è famoso per il taglio perfettamente orizzontale delle estremità di e e c, mentre nell’Akzidenz gli stessi tratti terminano in obliquo.

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