Linotype a vapore?
La linotype era una macchina che serviva per comporre in automatico i testi da impaginare.
Prima della sua invenzione il tipografo doveva prendere a mano i caratteri da allineare nel compositoio, una lettera per volta. Finito di stampare, doveva rimetterli ciascuno nel suo scompartimento, sempre uno per volta. Serviva troppo tempo. Con questa macchina bastava digitare il testo su una tastiera. Le matrici scendevano da sole e si allineavano nel compositoio. Una volta realizzata la riga da stampare, in metallo, ogni matrice tornava al suo posto in automatico.
La macchina venne usata nei giornali fino agli anni Settanta e anche Ottanta del Novecento, quando venne soppiantata dalla fotocomposizione e poi dal computer. Questo significa che i giornalisti che hanno iniziato a lavorare all’epoca, oggi hanno un’ottantina d’anni e ancora ricordano quel periodo.
In alcune redazioni è stato conservato almeno un esemplare di linotype, che di solito è esposto all’ingresso, per lasciare a bocca aperta scolaresche e visitatori.
Si tratta di una macchina complicatissima, composta di tantissimi ingranaggi, leve, cinghie varie. Vederla in funzione è uno spettacolo, perché la macchina era in grado di compiere operazioni complesse senza mai fare uso di un’intelligenza artificiale di qualche tipo. Si riusciva ad ottenere qualsiasi movimento semplicemente sfruttando stratagemmi basati sulla meccanica.
Esistono molte linotype che sono state mantenute in funzione o restaurate, a fini dimostrativi. E su Youtube si trovano filmati a volontà. Si dice che l’inventore Thomas Edison (che aveva messo a punto una semplice lampadina) osservando il funzionamento della linotype l’abbia definita l’ottava meraviglia del mondo.
Quando la macchina è accesa, alcune sue parti continuano a girare a vuoto. Ogni volta che l’operatore completa una riga di testo, tira una leva e il movimento degli ingranaggi si trasmette a varie componenti, che portano le matrici prima sulla sinistra per essere ricoperte di metallo fuso, poi in alto per tornare nel cosiddetto magazzino. Da un’apertura viene fuori una barretta di metallo con la forma delle lettere che compongono l’intera riga in rilievo, rispecchiata da destra a sinistra.
Ovviamente la macchina deve essere caricata con la materia prima: barrette metalliche che vengono fuse in un apposito crogiolo; il metallo liquido viene pompato sulle matrici grazie a un pistone.
Ora qualunque spettatore o documentarista si concentra su leve, bulloni, ingranaggi, cinghie, tasti, matrici eccetera, lasciando in secondo piano una questione fondamentale: come fa a funzionare tutto questo?
Anche se non viene mai inquadrato qualcuno che infila una spina nella presa, tutto si basa sull’elettricità: c’è un unico motorino elettrico che imprime un movimento di base, e una serie di ingranaggi che comunicano questo movimento alle varie parti della macchina. Anche per fondere il metallo si usa l’elettricità: sulla base dello stesso principio che fa funzionare i forni elettrici, si può squagliare una lega a base di piombo, che non richiede temperature altissime.
Ok. Però la macchina è stata inventata nel 1881, in un’epoca in cui l’elettricità non era affatto diffusa come lo è oggi. Per cui ho trovato qua e là qualche vago accenno al fatto che le prime linotype potessero essere azionate da motori a vapore.
A vapore? Come le locomotive? Vicino alla linotype c’era un macchinista che spalava il carbone? Mi pare strano. E infatti non è proprio così.
Sul web si trova pochissimo, ma
sembrerebbe che era possibile collegare tutte le linotype di una
stanza ad una macchina a vapore unica (o un motore a gas), che poteva anche trovarsi in un locale adiacente. Si faceva normalmente così per le macchine da stampa.
Sul web si trova un manuale della Linotype in pdf datato 1898 che mostra tre diverse configurazioni possibili. In una, apparentemente c’è qualcosa come un albero motore che passa sotto il pavimento, e una cinghia o una catena che collega uno degli ingranaggi della macchina con questo elemento. In un’altra, due macchine sono disposte in maniera tale da avere la loro parte posteriore orientata in direzione di quest’albero motore, che passa sopra il pavimento ma coperto da una piattaforma. Nella terza configurazione, l’albero motore passerebbe vicino ad un muro, sempre coperto dalla piattaforma e agganciato alla macchina con una cinghia.
Insomma: la macchina a vapore poteva far girare quest’albero motore, e tramite le cinghie il movimento si poteva propagare a tutte le macchine.
Ho cercato qualche fotografia in cui si vedesse una conferma di tutto questo ma non ho trovato pressoché niente (forse qui?).
E per fondere il metallo come si poteva fare, senza elettricità? La risposta è una trentina di pagine più avanti sullo stesso manuale: col gas! C’era un fornello che bruciava sotto il crogiolo, e così facendo fondeva il metallo. Quindi ciascuna delle macchine doveva essere collegata anche ai tubi del gas.
Nelle immagini non si trova nulla di tutto ciò perché il passaggio all’elettricità era già in corso prima della fine dell’Ottocento. Sul manuale del 1898 veniva specificato che era stato “recentemente” sviluppato un motore elettrico “economico, compatto, affidabile e di aspetto gradevole”, che permetteva di far funzionare ciascuna macchina senza bisogno di una cinghia di trasmissione che la collegasse ad una fonte esterna di movimento. “La sola connessione richiesta è l’estensione di un filo a una presa per normali lampade a incandescenza o altra fonte di corrente elettrica”.
Erano disponibili motori per correnti a 115, 230 o 500 volt al prezzo comune di 65 dollari.
Qualche anno fa qualcuno aveva chiesto informazioni sui forum in merito al motore di una linotype: il voltaggio richiesto non corrispondeva a quello che c’era a disposizione nel palazzo del museo. Si poneva quindi il problema di cosa fare per poter rimettere in funzione questa e altre macchine per un’iniziativa coi visitatori.
Secondo il manuale del 1898 ogni linotype richiede circa un quarto di cavallo-vapore per funzionare, ma per la stabilità di funzionamento si richiedeva almeno mezzo cavallo-vapore. (Che dovrebbe corrispondere forse a meno di 700 watt, fino a prova contraria).
La puleggia principale doveva muoversi a circa 62 giri al minuto, mai oltre i 66.
Comunque, anche senza alberi motore e
tubature del gas, l’allestimento di una sala per le linotype poteva essere un’operazione complessa. In alcune foto d’epoca si vedono delle specie di canne fumarie che partono da ciascuna macchina e vanno a congiungersi in
alto ad un impianto unico. Potrebbe trattarsi di un sistema di
aspirazione dei fumi derivanti dalla fusione del piombo, che a quanto
pare erano tossici.
Per quanto riguarda l’uso di macchine a vapore, era comune che venissero usate per far funzionare le apparecchiature da stampa ottocentesche.
Ad un raduno in America è stata inquadrata una di queste macchine: un cilindro con pistone verticale raggiunto da alcuni tubi, collegato con una cinghia alla pressa da stampa. Ma non si vede niente che bruci o faccia fumo.
Qualcuno ha realizzato un modellino
funzionante (favoloso!) che ci dà un’idea un po’ più ampia di
come poteva essere strutturato un meccanismo di questo tipo: focolaio, ciminiera e caldaia
con l’acqua erano a parte; i tubi portavano il vapore al cilindro col pistone;
da qui una cinghia comunicava il movimento alla pressa da stampa (una platina,
in questo caso).
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