Amos Dell’Orto

La ditta Amos Dell’Orto fu un’officina costruttrice di macchine tipografiche attiva a Monza nella prima metà dell’Ottocento.

Non si sa di preciso l’anno di nascita e l’anno in cui ha cessato le attività, ma su Wikipedia è stato raccolto un elenco alla rinfusa di varie macchine tipografiche attualmente esposte in varie parti d’Italia. Una si trova anche all’estero, a Gerusalemme, datata 1854.

Una menzione particolare merita il modello Stanhope, premiato nel 1839 con medaglia d’argento, non si capisce bene da chi (dovrebbe trattarsi delle autorità austriache, visto che all’epoca l’Italia non era stata ancora unificata). 

Sul web si trovano varie foto del torchio Stanhope, che appare abbastanza schiacciato in altezza rispetto a torchi simili diffusi nella stessa epoca.

Era fabbricato in ghisa, su base di legno a forma di croce.

Il nome deriva da quello del lord inglese che lo mise a punto nel 1800 a Piccadilly, Londra, insieme al meccanico Robert Walker.

Il torchio aveva un sistema di leve multiple tra la barra e la vite che moltiplicava la pressione trasmessa sulla platina, con possibilità di ottenere stampe più grandi e in minor tempo.

Secondo il sito Lombardia BeniCulturali Amos Dall’Orto lo produsse in Italia dal 1840 (l’anno dopo avere ricevuto la medaglia), per i successivi 35 anni almeno.

In Italia ne sopravvivono almeno 25.

La dimensione più grande che poteva stampare era 60x80 cm. 

Su Seconda Mano si possono vedere le foto di un torchio di Amos Dall’Orto datato 1854. Tendenzialmente la forma è quella dello Stanhope, ma la base non è a forma di croce: ci sono due coppie di piedi dalle gambe curvesotto la parte centrale, più un altro supporto rettilineo verso l’estremità del carrello.

Dalle varie angolazioni si intravede quello che sembra essere un contrappeso rotondo regolabile, di cui non viene spiegata la funzione. 

A volte i torchi di Dall’Orto vengono rapidamente inquadrati nei servizi o nei video realizzati all’interno di qualche museo della stampa o laboratorio, ma non mi pare ci siano filmati in cui ne viene spiegato o dimostrato il funzionamento.

Ad esempio si riconoscono i meccanismi dello Stanhope in un filmato di sette minuti realizzato nel Museo della Stampa di Mondovì. Purtroppo il video è senza parole, ed è un vero peccato perché nelle varie stanze del museo si può notare una grandissima quantità di macchinari di tutti i tipi, alcuni facilmente riconoscibili, mentre altri non si capisce neanche a che cosa servono (uno potrebbe essere un apparecchio in grado di pulire automaticamente le matrici della linotype).

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