Photo Typositor
Sulle macchine che si usavano ai tempi della fotocomposizione circolano sul web poche informazioni framentarie. Si trattava di apparecchiature usate soltanto da pochi addetti ai lavori, che nel giro di pochi anni sono state sostituite da modelli completamente diversi o da altre tecniche.
Nella pagina di Wikipedia in inglese dedicata alla fotocomposizione, c’è un accenno al PhotoTypositor, prodotto da Visual Graphic Corporation, “che permette all’utente di posizionare ciascuna lettera visivamente, garantendogli il completo controllo del kerning”. Il link è presente, ma è rosso, che significa che non c’è nessuna pagina specifica dedicata a questa macchina.
In un articolo pubblicato nel decennio scorso sul blog della Adobe, l’autore scriveva che la macchina serviva per creare scritte display regolate a mano a dimensioni maggiori rispetto alle macchine diffuse fino a quel momento, poche parole alla volta. “Il Typositor offriva raffinate capacità di crenatura e spaziatura, nonché opzioni di distorsione (particolarmente utili durante l’era psichedelica della pubblicità)”.
Ho provato a cercare degli esempi delle possibilità offerte dalla macchina, ma non ho trovato niente di specifico.
Il sito mostra un dettaglio della macchina. Si riconosce a sinistra una scala graduata, e in alto il nome del modello, Photo Typositor 3100, scritto in un carattere stile bauhaus inline.
Il sito linka anche un’illustrazione in cui sono evidenziate le varie parti della macchina. Quello che si vede nella foto è solo una piccola porzione dell’intero macchinario, sul quale si riconoscono pulsanti, manopole, una parte verticale, una orizzontale, ma stranamente non si vede nessuna tastiera.
Il Photo Typositor era molto popolare negli anni Sessanta e Settanta, dice il sito. Permetteva di produrre un titolo breve in circa mezz’ora. E era grande proprio come appare nell’illustrazione, dice il sito.
Per chi capisce l’inglese e vuole approfondire la storia della fotocomposizione, a novembre scorso è stata realizzata una lezione via zoom nella quale il responsabile di un museo del Massachusetts ne ripercorre tutte le principali tappe.
Il PhotoTypositor viene nominato poco prima del diciassettesimo minuto, subito dopo avere descritto i primi tentativi di realizzare una macchina fotocompositrice, abbastanza fallimentari in quanto a funzionalità e a pezzi venduti.
Un’immagine del PhotoTypositor si vede in alto a sinistra, tra altre macchine dello stesso periodo. Una operatrice ne sta tirando fuori una striscia di carta su cui è impressa una riga di testo in grandi dimensioni.
La macchina montava una pellicola da due pollici, perché la Filmotype che era già sul mercato aveva già fatto questa scelta.
Il direttore del museo è particolarmente affezionato al PhotoTypositor, visto che lo adottò quando uscì sul mercato nell’ufficio in cui lavorava. Fu una vera e propria rivelazione, perché mentre coi caratteri in metallo era difficilissimo gestire il kerning e la spaziatura tra le lettere, con il PhotoTypositor era molto semplice, e questo apriva tante nuove possibilità.
Il filmato è interessante perché mostra una carrellata di fotografie delle macchine per la fotocomposizione che uscirono sul mercato anno dopo anno, mentre a voce vengono spiegate le caratteristiche di ciascuna, con tanto di aneddoti derivanti dall’aver assistito di persona allo sviluppo di questa tecnologia (la carta che usciva fuori bagnata dopo lo sviluppo e doveva essere stesa ad asciugare; il motivo per cui si cominciò ad adottare la tastiera da macchina da scrivere anziché quella della linotype; il fatto che il copyright valeva solo per il nome e non per il disegno dei caratteri, quindi lo stesso font usciva con tanti nomi diversi a seconda del produttore che aveva clonato il disegno originale, eccetera eccetera).
Tra le varie cose interessanti nel filmato, c’è all’inizio un tentativo di dividere la storia della tipografia in varie epoche, che si sovrappongono tra di loro. È interessante non tanto per il fatto di individuare le varie fasi, ma perché ipotizza un anno di inizio e un anno di fine.
Anche se la tipografia è stata inventata a metà del Quattrocento, la data iniziale dell’era delle fonderie a caldo viene fissata al 1511, attingendo alla biografia di Garamond, il quale fabbricava caratteri da vendere ad altri tipografi. Prima di allora, i caratteri venivano prodotti dagli stessi stampatori che realizzavano i libri (anche se poi potevano venderli ad altri stampatori).
L’anno finale di quest’epoca è stato fissato al 1993, anno in cui la American Type Founders uscì dal mercato.
L’epoca delle macchine compositrici, linotype e monotype, inizia nel 1886 e finisce nel 1972 (quando venne prodotta l’ultima linotype).
L’era della fotocomposizione va dal 1949, con la Photosetter della Intertype, fino al 1995.
L’era digitale comincia nel 1985, quando venne messo a punto lo standard PostScript, e ovviamente continua ancora oggi.
Per quanto riguarda la fotocomposizione, vengono individuate quattro generazioni.
La prima è quella fotomeccanica, col Fotosetter della Intertype e la Monophoto della Monotype.
La seconda è elettromeccanica, con Photon 200b, Atf B8 e Compugraphic 2961tl.
La terza è quella basata sulla tecnologia a tubo catodico, con Rca Videocomp, Harris Crt e Linotype Linotron 1010 e 505.
L’ultima generazione è quella basata sul laser, con Linotype Linotronic 300, 200 e 100.
In questa tabella purtroppo mancano le date di inizio e di fine.
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