Rubik Moonrocks
Su Google Fonts sono stati caricati alcuni font realizzati grazie a script che permettono di modificare in automatico un carattere esistente. A scopo dimostrativo è stato scelto il Rubik. Comunque, il codice è pubblico e può essere applicato a qualsiasi font (sempre che la licenza lo permetta).
In un filmato che ho visto su internet poco tempo fa, un anziano esperto di tipografia esprimeva tutto il suo sgomento di fronte ad un’offerta di caratteri tipografici che ha raggiunto le decine di migliaia di font disponibili. Ai vecchi tempi per sapere quali font erano in produzione bastava procurarsi il catalogo cartaceo di ogni fonderia. La disponibilità era molto limitata. Come si farebbe ora a procurarsi un catalogo cartaceo con diecimila tipi di carattere? Come gestire una tale quantità di materiale? Come orientarsi?
Su Identifont è disponibile un grafico che mostra la produzione di nuovi tipi di carattere suddivisa per anno a partire dalla metà dell’Ottocento. Si tratta di un progetto parziale: la gran parte dei font dell’epoca pre-digitale non è mai stata digitalizzata e quindi non compare nell’archivio del sito. Comunque, il grafico mostra che fino al 1990 circa il numero di nuovi font disegnati ogni anno era sempre al disotto delle 200 unità. Poi c’è stata l’impennata. Mi pare che dal 2006 il dato non scende mai sotto le 1800 unità all’anno, con un picco di oltre 3600 raggiunto nel 2016.
In parte c’entra la creatività dei disegnatori, in parte la richiesta di nuovi font fantasia per tutte le esigenze e in parte la possibilità tecnologica di realizzare font in proprio, senza nessun investimento particolare oltre all’allestimento di una normale postazione informatica: computer, monitor, stampante e qualche dispositivo di input a piacere.
Ma la tecnologia influisce anche in altri modi, molto più invasivi. Ne è un esempio il progetto Generative Fonts, che ha preso uno dei tipi di carattere caricati su Google Fonts, il Rubik, e lo ha alterato in 28 modi diversi usando degli script.
Il font originale talvolta è irriconoscibile. Con l’effetto Beastly il contorno di ogni lettera diventa frastagliato come fosse un’esplosione. Con l’effetto Broken Fax viene aggiunto un disturbo digitale all’interno delle aste. L’effetto Bubbles trasforma i contorni come fossero nuvolette. L’effetto Dirt crea qualcosa di simile ad una stampa in rilievografia su carta ruvida. E poi c’è un effetto sketch, un effetto glitch, un effetto horror. Si può anche avere ogni lettera come se fosse una porzione di labirinto.
La cosa interessante è che l’intero codice che è stato utilizzato in questa occasione è pubblico, quindi può essere applicato a qualunque altro font. Occorre saper far funzionare uno script in linguaggio Python per Glyphs App, e verificare che la licenza del font che si vuole modificare consenta le alterazioni.
Per scaricare le varie versioni del Rubik realizzate con questo sistema non c’è bisogno di nessuna conoscenza particolare, visto che sono già state messe in download gratuito sul sito ufficiale.
7 di queste sono state caricate anche su Google Fonts. Rubik Moonrocks al momento è la più trendy in assoluto nella categoria display. All’interno delle aste compaiono delle specie di asteroidi in bianco su fondo nero.
Poi ci sono Rubik Microbe, Rubik Glitch, Rubik Wet Paint, Rubik Bubbles, Rubik Puddles e Rubik Beastly.
La firma è quella di Luke Prowse per lo studio NaN di Berlino.
Strumenti come questi rischiano di confondere qualunque conteggio in materia di font. Non è più necessario che un disegnatore metta a punto una nuova versione di un tipo di carattere esistente. Chiunque può eseguire uno script ed adattare il font alle proprie esigenze. Ma il risultato va conteggiato come nuovo font? O non è qualcosa di simile ai tanti effetti che si possono già ottenere sui font esistenti con un qualsiasi programma di impaginazione? (aggiunta di texture, estrusione 3d, eccetera)
Il codice del progetto Generative Fonts è utilizzabile soltanto da chi ha qualche conoscenza informatica avanzata. Ciò non toglie che in teoria potrebbe essere adattato per diventare accessibile a chiunque, senza bisogno di installare programmi appositi.
Il progetto più avanzato che abbiamo visto finora e che va in questa direzione è Metaflop. Basta andare sul sito, scegliere uno dei 4 font disponibili e regolare vari cursori per ottenere un file scaricabile da browser, senza bisogno di software aggiuntivo.
In teoria, le possibilità sono infinite. In pratica, molti dei risultati sono inguardabili. Un programma informatico può alterare un font esistente in qualsiasi modo. Ma alla base dell’operazione ci deve essere la sensibilità estetica di un essere umano in carne ed ossa.
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