Mufi fonts
La sigla Mufi sta per Medieval Unicode Font Initiative.
Si tratta di un’iniziativa portata avanti da vari studiosi in varie parti del mondo per includere in Unicode tutti i caratteri che si possono trovare sui libri medievali europei e che ora sono in disuso, esclusi dallo standard universale.
La Mufi, nata nel 2001, ha messo a punto una proposta per includere questi caratteri nello standard Unicode. Nel frattempo ha stilato una lista di tutti i caratteri in questione, fissando anche uno standard che utilizza l’area di uso privato stabilito da Unicode.
In pratica chi vuole disegnare un font che permette la trascrizione fedele di qualunque testo medievale ha a disposizione sia la lista di tutti i caratteri di cui ha bisogno, sia la posizione consigliata.
In tal modo, se il consorzio Unicode dovesse accettare la proposta della Mufi, basterebbe un semplice script per spostare tutti i caratteri nelle posizioni corrette.
Al momento i font che hanno rispettato le raccomandazioni della Mufi sono sette, a cui se ne aggiungono due che coprono soltanto i caratteri norreni.
La caratteristica di questi font è che nessuno di loro sembra medievale. Nel senso che la forma delle lettere non è quella degli antichi manoscritti, ma è abbastanza consueta, spesso modellata sulle stampe rinascimentali, ma c’è anche un senza grazie. Lo scopo di questi font non è quello di impaginare un testo che sembri medievale, ma di trascrivere i testi medievali nella maniera più fedele possibile.
Nel medioevo la scrittura era più complicata rispetto ad oggi. Esistevano lettere diverse in diversi Paesi, ad esempio per i vari suoni della lingua inglese che oggi si scrivono con le lettere latine th. Esistevano molte legature (glifi composti da due lettere unite tra di loro). E c’erano delle abbreviazioni per cui le lettere mancanti venivano inserite come segni diacritici al disopra delle lettere adiacenti. Ad esempio il suono mb veniva scritto come una b sovrastata da un segno allungato che sostituiva la m mancante.
Tutto questo, nella realizzazione di un font digitale, implica l’aggiunta di un gran numero di caratteri. Nel caso della lettera B, per esempio, bisogna prevederne un’altra versione sovrastata da un trattino, una sovrastata da un puntino (che serve per l’antico irlandese), una col puntino sottostante, una accentata, eccetera. Spesso sia nella versione maiuscola che in quella minuscola. Inoltre deve essere prevista la legatura tra due b e quella tra b e g.
Insomma, sul sito ufficiale risultano 21 varianti diverse di questa lettera, laddove in italiano ne basterebbero soltanto due (maiuscola e minuscola, in questo caso; per le vocali servono anche i due accenti, acuto e grave, su maiuscola e minuscola, ossia sei varianti).
La realizzazione di caratteri tipografici contenenti lettere in disuso è una tradizione molto antica. Agli albori della tipografia non c’era la possibilità di fotografare e stampare le pagine degli antichi manoscritti. Per trascriverli bisognava per forza usare gli appositi caratteri, in mancanza dei quali non si poteva fare altro che riconvertire le parole eliminando legature, abbreviazioni, segni diacritici eccetera, ossia alterando il testo.
Al giorno d’oggi gli antichi
manoscritti sono stati digitalizzati, per cui è possibile leggerli
direttamente guardando le foto in alta definizione delle loro pagine.
Ciò non toglie che se si vuole inserire una citazione del testo antico in un trattato
moderno, non solo sarebbe complicato inserire la foto della parola in questione
all’interno del testo, ma sarebbe anche brutto perché spezzerebbe la composizione della pagina. È molto meglio
avere a disposizione i glifi giusti, e nello stesso font usato per scrivere il testo moderno.
Uno dei font che rispetta le raccomandazioni Mufi è il Cardo, che si scarica gratuitamente su Google Fonts. Gli altri possono essere scaricati dai siti dei rispettivi progetti. Le licenze variano da font a font: molti sono freeware, alcuni prevedono il pagamento della licenza solo per usi commerciali, uno può essere scaricato solo a pagamento.
Ovviamente per gran parte delle persone la compatibilità del font con le raccomandazioni Mufi è completamente irrilevante. Nessuno oggi usa quei caratteri scomparsi, e anche se li usa nessuno è in grado di leggerli. Al limite c’è chi attinge alle varianti straniere delle lettere latine per comporre delle parole leggibili ma dall’aspetto insolito.
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