Stampe giapponesi

Cercando su Google “inventore stampa”, la prima cosa che viene fuori è il nome e il ritratto di Bi Sheng, che nell’undicesimo secolo aveva messo a punto un sistema basato sui caratteri in terracotta in Cina.

Subito dopo viene fuori il nome di Gutenberg, che invece era attivo in Europa verso la metà del Quattrocento.

In entrambi i casi si dà per scontato che stampa e tipografia siano sinonimi, anche se non è così. Non tutte le tecniche di stampa si basano sull’uso dei caratteri mobili. In Giappone c’è una lunga tradizione che riguarda stampe contenenti ritratti di persone o vedute di paesaggi. Nulla a che vedere coi caratteri.

La tecnica è di derivazione cinese. Secondo Wikipedia le prime stampe su carta in Cina risalgono all’ottavo secolo. In precedenza tecniche simili dovevano essere applicate ad altri materiali, ad esempio stoffe.

Il materiale di base è il legno: si parla quindi di xilografia (dal greco antico, xulon=legno).

In un video su Youtube è possibile vedere le varie fasi della produzione di una stampa giapponese ukiyo.

Prima si realizza un disegno. Poi lo si incolla a faccia in giù su una tavola di legno, e si incidono tutte le parti che devono rimanere bianche, grattando via la carta in eccesso. A questo punto si eseguono delle stampe monocromatiche, in bianco e nero. A differenza degli automatismi a cui ci hanno abituato Gutenberg e poi la stampa industriale, qui l’inchiostratura è fatta rigorosamente a mano, come pure l’applicazione della pressione sulla parte posteriore del foglio. Mentre Gutenberg aveva ideato un torchio in cui bastava tirare una leva per imprimere istantaneamente la pressione opportuna su tutto il foglio contemporaneamente, in questo caso bisogna strofinare la parte posteriore del foglio con un apposito strumento, cercando di ottenere un risultato uniforme.

Le stampe in bianco e nero possono servire come base per ottenere matrici diverse con cui realizzare stampe in vari colori: prima si usa una matrice che ha in rilievo soltanto le parti di un colore, poi una che ha in rilievo solo le parti di un altro colore, e così via. È anche consigliabile utilizzare la stessa matrice per stampare colori diversi in parti diverse dell’immagine, inchiostrando di volta in volta solo una o l’altra delle parti in questione.

Inizialmente si usavano solo due o tre colori, mentre in certi stili si arrivò ad utilizzare anche 10 o 15 matrici diverse.

Il filmato non si concentra solo sulla tecnica, ma riporta i nomi e mostra le opere dei principali esponenti di quest’arte, tra cui quello di Katsushika Hokusai, autore delle 36 vedute del monte Fuji, una delle quali è quella della grande onda che è stata usata come base dell’emoji water wave nella versione della Apple.

Wikipedia in italiano nella voce dedicata alla xilografia non fa esplicito riferimento alle stampe giapponesi, ma nell’elenco degli artisti di rilievo inserisce anche il nome di Hokusai, come quello di Utagawa Hirosige (entrambi attivi nella prima metà dell’Ottocento).

Agli albori della tipografia in Occidente, la tecnica della xilografia veniva usata spesso per inserire immagini nei testi stampati con la tecnica inventata da Gutenberg.

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