Sette ondulato

Sulle vecchie carte d’identità, quelle in cartone, prima che arrivassero le tessere digitali, i numeri erano scritti in un font particolare in cui il numero 7 aveva il tratto superiore ondulato e l’estremità inferiore a goccia. Una caratteristica del genere non si trova quasi mai, nei font moderni.

Scorro la lista di quelli presenti su Google Fonts, e il primo che trovo che ha qualcosa di simile è il Besley. Qui il tratto orizzontale del numero 7 è sinusoidale, e si assottiglia in punta. Quello sulle carte d’identità invece era più spesso al centro e più sottile ai lati, e soprattutto aveva una grazia verticale all’estremità. La curva nell’asta obliqua inoltre era meno marcata.

Sulle carte d’identità il tratto superiore del 5 era leggermente curvato all’insù, mentre qui è rettilineo, con asta all’insù soltanto in punta.

Il 4 delle carte d’identità era chiuso, mentre quello del Besley è aperto, con tratto obliquo curvo e allargato all’estremità.

Il Besley è stato disegnato da Owen Earl, Indestructible Type. Ispirato al Clarendon di Robert Besley. Non è catalogato su Identifont. È inserito soltanto in 5 mila siti, soprattutto in Canada e Australia.

Il nome di Besley non è molto conosciuto. Lavorava come incisore in Inghilterra alla metà dell’Ottocento. Il primo Clarendon sarebbe suo. Il carattere sarebbe poi passato alla Stephenson Blake quando questa acquisì la fonderia di Fann Street di Besley.

Devroye riporta parecchie righe di informazioni, attinte da una discussione su Typophile: il Clarendon di Besley fu il primo carattere abbinato con una versione in grassetto. Quando dopo appena tre anni i diritti d’autore si estinsero, altre fonderie iniziarono a produrlo, con grande disappunto dell’incisore che protestò contro la “pirateria”. 

Identifont attribuisce a Besley un solo font, digitalizzato nel 2008-2013 da Tom Wallace, per Hih Retrofonts. Le lettere non sono disegnate per sembrare pulite e ordinate secondo gli standard moderni. Inoltre mi sembrano spaziate male, sempre che non sia solo un problema di anteprima.

Comunque nel font di Wallace il numero 7 ha effettivamente la grazia verticale in punta, e lo spessore maggiore al centro, e una curva non troppo brusca. Il 5 ha il tratto orizzontale curvo, senza grazia, e il 4 è chiuso. Proprio come sulle vecchie carte d’identità.

Queste caratteristiche sono conservate dai font moderni che portano il nome di Clarendon, come quello disegnato nel 1953 da Hermann Eidenbenz, pubblicato oggi da Adobe e Linotype, famoso in America perché usato per i cartelli dei parchi nazionali statunitensi. Un’altra versione dello stesso carattere è commercializzata da Urw. 

Il tratto distintivo è la coda della a che si alza in verticale, dettaglio che non è presente così accentuato nella versione ottocentesca del font. 

I glifi del Clarendon sono molto larghi, mentre quelli sulle carte d’identità erano stretti.

La Urw vende anche un Clarendon Narrow che ha delle proporzioni un po’ più ragionevoli.

Le vecchie carte d’identità avevano un fondo stampato uguale per tutti, a cui veniva aggiunto in un secondo momento un numero di due lettere e sette cifre. Senza kerning. Tutte le altre informazioni venivano stampate con le apparecchiature da ufficio, con font diversi a seconda delle epoche e delle città. Infine venivano aggiunti un paio di timbri a inchiostro e uno a rilievo per autenticare la carta e la foto.

Tra i font di Microsotf, il Plantagenet Cherokee ha un 7 in cui il tratto superiore è in discesa con una lieve ondulazione, più la curvatura abbastanza brusca in punta. Il 5 pure ha un tratto in discesa che curva bruscamente all’insù. Ma la forma più strana è quella del 4, dove è il tratto orizzontale inferiore ad essere curvato, e a terminare a onda con la punta all’insù.

Il nome del font non è inserito nel database di Identifont. 

Come nel Clarendon, il Plantagenet ha una Q con coda sinusoidale che comincia all’interno e finisce all’esterno. 

Il carattere, disegnato da Ross Mills di Tiro Typeworks, contiene anche il sillabario cherokee, curioso perché inventato da un nativo americano per trascrivere i testi nella lingua della sua tribù ed effettivamente entrato in uso (oggi è stato inserito anche in alcuni cartelli stradali).

Identifont collega il nome di Mills solo con un paio di versioni dell’Euphemia e con un paio di font di cui non ha l’anteprima.

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