La f scomparsa
Dunque la storia è questa. Alla fine dell’Ottocento vennero inventate le macchine per la composizione a caldo, che continuarono ad essere prodotte per circa un secolo. Fino ad allora i tipografi dovevano comprare un numero limitato di caratteri dalla fonderia. Da quel momento in poi invece comprarono direttamente le matrici, digitando poi il testo su una tastiera. I caratteri venivano fusi sul momento, a seconda delle esigenze. La composizione era più veloce, e non c’era il rischio di rimanere a corto di lettere, almeno finché c’era il metallo da fondere.
Senonché queste macchine fondevano i caratteri grazie a matrici separate, e non c’era modo di far sì che i tratti di una lettera andassero a sovrapporsi allo spazio di un’altra matrice. Cosa che era possibile solo alle fonderie con lavorazioni particolari. Quindi come risolvere il problema della f, che per sua natura tende ad allungarsi verso la lettera seguente?
In alcuni casi si poteva risolvere con una legatura: si creava una matrice con due lettere, fi, fl, ff... Guardando la foto della tastiera della linotype che si trova su Wikipedia, le legature si trovano sull’ultimo tasto nero a destra di ogni fila tranne la seconda.
E con le altre vocali? C’era un’unica soluzione: disegnare una f stretta, che non si protendesse verso destra ma allo stesso tempo mantenesse un aspetto equilibrato e gradevole.
Sfogliando un libro del secolo scorso magari non facciamo mente locale ai caratteri. Ma anche volendo farci caso, cerchiamo qualche dettaglio caratteristico per identificarli. In molti casi si tratta di un font conosciuto, che si usa ancora oggi (a produrli erano poche grandi fonderie e per giunta molto tradizionaliste).
Ad esempio, ecco un libro della seconda metà degli anni Cinquanta, editore Capitol di Bologna. Basta guardare la forma della Q e l’apertura nell’occhiello inferiore della g per pensare immediatamente al Baskerville.
Un carattere che si usa ancora oggi, se ne trova anche una versione gratuita su Google Fonts: si chiama Libre Baskerville, autore Impallari Type.
Le forme delle lettere in epoca digitale sono pressoché le stesse, forse un po’ irrobustite per apparire meglio sui monitor moderni.
Ma come la mettiamo con la f? L’estremità superiore si allunga un po’ verso destra. Non troppo: se la lettera seguente è una i neanche tocca il puntino. Ma comunque è in fuorigioco, tant’è vero che se c’è una l i tratti si sovrappongono.
E non è normale? Certo, oggi lo è. Ma non è la stessa lettera che si vede sul libro degli anni Cinquanta. Dove tra la f e la lettera che segue c’è una fascia bianca verticale molto larga (l’estremità superiore della f non si spinge molto più a destra dell’estremità del tratto orizzontale sottostante).
Prendo in mano un altro libro, stavolta datato 1979. Di nuovo il Baskerville, di nuovo la stessa f.
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Quando mai si è visto così tanto spazio tra la f e la e? |
Che fine ha fatto questa lettera oggi? A quanto pare i font moderni hanno rimosso i ricordi novecenteschi, ripristinando le lettere originali dell’incisore inglese, tra cui, come si può vedere sul sito di Devroye, c’era una f che non lasciava spazio scoperto tra sé e la lettera seguente.
Se ci soffermiamo sui caratteri disegnati da Simoncini per la sua fonderia, che produceva matrici per linotype, notiamo che c’è sempre una f stretta, sia che si tratti di progetti nuovi, come l’Aster del 1957, sia che si tratti di revival di classici, come il Garamond. Questi due font esistono anche in versione digitale, ma mi pare che un minimo di sovrapposizione tra f e la lettera successiva ci sia.
Nel 2002, dopo l’uscita del primo film della trilogia del Signore degli Anelli, Bompiani ha pubblicato un volume contenente l’intero romanzo di Tolkien, oltre 1300 pagine inclusa l’appendice. Si era già in epoca digitale, ma le lettere che si vedono su quelle pagine hanno un aspetto molto insolito. Evidentemente deve trattarsi della ristampa di un’edizione precedente, e sarebbe bello sapere con quale tecnica è stata ottenuta. Fatto sta che c’è una f stretta. E questo ormai non mi sorprende più di tanto. Quello che mi sorprende semmai è il corsivo. Dove la f non invade lo spazio né della lettera precedente né della successiva. Una caratteristica che oggi sembra assurda: è più che ovvio che quando le lettere sono oblique sforano dallo spazio assegnato. Anzi, nei corsivi eleganti si cerca di abbracciare con le estremità della lettera entrambe le lettere adiacenti. Qui invece vediamo che la sinuosità è appena accennata. E nonostante tutto le lettere sembrano tutte naturalmente inclinate in avanti.
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Nei font moderni la f corsiva si sviluppa molto di più in larghezza, invadendo lo spazio delle lettere adiacenti. |
Font non identificato. Sembrerebbe un derivato del Garamond, ma con una P chiusa.
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