Manuzio: quasi cento legature

Nei font digitali i tratti di ogni lettera possono uscire dallo spazio assegnato andarsi a sovrapporre a quelli delle altre lettere, così come avviene nella scrittura a mano.

Nella tipografia tradizionale, ogni lettera stampata è ottenuta dalle parti in rilievo presenti su una delle facce di un parallelepipedo in metallo. Anche volendo allargare il tratto al disopra dei blocchetti adiacenti, ed era possibile farlo, bisognava per forza che non toccasse i tratti della lettera successiva o precedente. Altrimenti si sarebbe spezzato. 

Aldo Manuzio, all’inizio del sedicesimo secolo, stampò dei libri usando i caratteri corsivi, creati per l’occasione sul modello della scrittura a mano. Ma nella scrittura a mano è usuale unire fra di loro le lettere. Come poteva fare Manuzio a ottenere lo stesso risultato, non avendo a disposizione le tecniche digitali?

La risposta è: usò delle legature, ossia dei blocchetti su ciascuno dei quali era presente in rilievo un glifo formato dalla somma di due lettere diverse.

Anche Gutenberg, quando inventò la tipografia a caratteri mobili, dovette lavorare un bel po’ per produrre, oltre alle normali lettere dell’alfabeto, anche parecchie legature. Che nel medioevo erano molto usate per risparmiare spazio e inchiostro: anziché scrivere una o e poi una r, si faceva partire il tratto della r direttamente dal contorno della o che la precedeva. Col passare del tempo, le legature sono scomparse quasi tutte: quelle che si usano ancora al giorno d’oggi sono quelle che riguardano la f, quando è seguita da lettere alte (f, l, i. Si arriva anche a legare tre lettere per volta ffi, ffl).

All’epoca di Manuzio era in uso un’altra lettera ingombrante: la s lunga, che come la f, nella versione corsiva, ha anche un tratto discendente.

E si sa che in passato era in uso anche qualcosa di strano, tipo quella tra c e t.

Ma il sito Folger.edu, di una libreria shakespeariana, si spinge molto oltre: dice che Manuzio dovette produrre quasi cento legature per rendere funzionale il suo carattere tipografico.

L’elenco completo non l’ho trovato da nessuna parte, ma sul sito ne vengono elencate alcune, e se ne possono vedere degli esempi direttamente negli originali.

Esistevano legature tra la lettera g e tutte le vocali successive. C’era la doppia l. E anche le combinazioni con m, n e u, che in latino erano parecchie.

Queste si identificano subito: basta vedere che non c’è nessuna interruzione tra le lettere nu, um, anche mo, ne...

Anche le lettere fa sembrano legate. S lunga e o sono staccate tra di loro, ma l’estremità superiore della s si estende fino a metà della o. Possibile che fosse kerning? Il sito non dice niente in proposito, ma può essere che fosse una legatura anche quella.

Anche la c mi sembra attaccarsi troppo alle lettere seguenti.

Devroye in questo caso non ci è di nessun aiuto: fa vedere soltanto una pagina stampata da Manuzio in caratteri romani.

I Love Typography mostra tutte le lettere dell’alfabeto romano di Manuzio (la versione regular, diremmo noi), incluse quelle con segni diacritici, le legature e perfino le molte abbreviazioni (la p con un tratto orizzontale che taglia l’asta, che sostituiva la sillaba per...). Ma questo stile non ha nulla a che vedere con la scrittura rapida a mano, quindi in gran parte ci troviamo ciò che ci aspettiamo (tra le maiuscole c’è la anche la legatura Qu, con una coda che raggiunge la fine della seconda lettera).

La pagina è comunque interessantissima, perché contiene la mappa di tutti i primi font romani della storia, con lettere a volte dalle forme buffe e improponibili. Il corsivo, però, è un’altra cosa. 

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