Telaio
Sul web c’è tantissimo materiale relativo alla stampa con caratteri in metallo, ma in gran parte è in lingua inglese e una parte della terminologia si sta perdendo. Certe parole si trovano qua e là, ma una spiegazione nel contesto ci manca.
Una di queste parole è “telaio”. Cos’era il telaio, in tipografia? Era quella cornice in ferro entro la quale venivano sistemati i caratteri in piombo che poi venivano inchiostrati e premuti contro il foglio per ottenere la stampa.
Una definizione precisa è stata riportata sul sito Riassuntini.com, con tanto di etimologia. “Cornice rettangolare in ferro entro la quale sono sistemate le pagine, a loro volta composte di caratteri in piombo, di cliché, delle marginature, eccetera che costituiscono la forma tipografica. Il telaio, dopo che tutti gli elementi sono stati inseriti e sono stati fissati con il serraforma, è posto sul piano portaforma del torchio tipografico”.
Definizione copiaincollata da una fonte esterna.
A differenza delle stampanti da ufficio o casalinghe, che stampano al massimo una o due pagine affiancate su ciascuna facciata di ogni foglio, nella stampa professionale si possono stampare parecchie pagine sulla stessa facciata: anche sedici, o trentadue.
Alcune sono stampate con il giusto orientamento, altre sono capovolte. Conclusa la stampa, il foglio viene piegato più volte lungo gli assi, i margini vengono separati, ottenendo così un fascicolo di sedici (o trentadue pagine) sistemate nell’ordine corretto.
Il testo veniva composto prendendo singolarmente, a mano, i caratteri in metallo dagli scompartimenti di una cassa e allineandoli in un compositoio che veniva tenuto in una mano. Il tutto veniva poi trasferito nel teleaio, su un banco di composizione. Il sistema era stato inventato dal tedesco Gutenberg a metà del Quattrocento. Ogni carattere era un blocchetto di metallo con la forma della lettera in rilievo, ma rispecchiata. La parte superiore veniva inchiostrata per stampare sul foglio nella direzione corretta. Se per quattro secoli i tipografi avevano dovuto comprare i caratteri tipografici già pronti dalle fonderie, nell’Ottocento vennero messe a punto delle macchine che li fondevano sul momento, utilizzando delle matrici. In questo caso, non necessariamente venivano fusi uno alla volta: nelle macchine linotype tutto il testo di una riga veniva fuso su un solo blocchetto metallico, con la forma di tutte le lettere in rilievo.
I cliché invece erano lastre di metallo su cui era realizzata in rilievo la figura da stampare sul foglio. Potevano preparati a mano per riprodurre disegni semplici, oppure con tecniche chimiche per riprodurre delle fotografie. Grazie al sistema dei mezzitoni, le parti scure della foto venivano scomposte in un insieme di puntini più grandi o più piccoli, in maniera tale da poter ottenere varie sfumature diverse, più chiare o più scure, dello stesso colore, pur utilizzando un solo tipo di inchiostro.
Le marginature invece erano degli elementi che non lasciavano alcuna traccia sul foglio, ma servivano appunto a tenere fermo il testo all’interno del telaio.
Il serraforma di cui si parla nella definizione è un elemento particolare, che serviva a fissare tutto l’insieme. La forma con lettere, cliché, marginature, veniva messa a punto sul banco di composizione, poi doveva essere trasportata fino alla pressa da stampa. Essendo composta di vari elementi diversi all’interno di una cornice, sollevando la cornice tutti gli elementi sarebbero rimasti sul banco. C’era bisogno quindi di un modo per collegare tutti gli elementi alla cornice, impedendo loro di cadere e di spostarsi.
Per questo si usavano i serraforme, disponibili sia in versione a due elementi separati a forma di cuneo, sia come dispositivi che incorporavano entrambe le componenti.
Spiegare la cosa a parole non rende l’idea. Meglio guardare una foto o un filmato.
Su Hevanet un tipografo dell’Oregon ha pubblicato un paio di foto di una forma tipografica già composta, una delle quali ripresa in una delle lezioni di tipografia in italiano su Contrografismo.
Il telaio è la cornice in ferro dentro cui è sistemato tutto il resto. Si possono notare alcune scritte in rilievo realizzate dal fabbricante, e i due manici in alto che servivano per prenderlo dal banco di composizione e collocarlo nella pressa.
Il rettangolo grigio al centro è il testo da stampare. In questo caso i caratteri non sono separati uno dall’altro, ma ogni riga orizzontale è un blocco unico. Evidentemente si tratta di un testo composto con una macchina linotype.
I rettangoli che si trovano tutti intorno, apparentemente di legno, sono le marginature. In questo caso sono tantissime: in effetti il telaio è molto più grande della pagina che è stata composta. Questo perché non necessariamente si deve stampare una pagina alla volta. Il tipografo avrebbe potuto affiancare tra di loro varie pagine, alcune in un verso, altre capovolte, sullo stesso foglio da ripiegare poi e ritagliare.
Per serrare la forma sono stati usati due strumenti: in alto si può vedere un serraforme composto da due cunei separati, premuti uno contro l’altro. Sulla destra, quel rettangolo grigio con un buco è un serraforme vero e proprio, che funziona esattamente nello stesso modo evitando l’inconveniente di avere due cunei separati da appaiare a orientare ogni volta.
In una delle foto si vedono anche le due chiavi utilizzate per serrare la forma. I cunei hanno una dentellatura: mettendo la chiave tra i dentini, e ruotandola nel verso giusto, le estremità spesse dei cunei si avvicinano, premendo verso l’alto e verso il basso e bloccando tutti i movimenti, grazie all’attrito. L’altra chiave andava messa nel buco del serraforme, e funzionava nello stesso modo.
I serraforme o i cunei andavano messi sul lato destro o sinistro, superiore o inferiore a seconda delle caratteristiche della macchina che veniva usata, spiega il sito.
Il testo spiega anche trucchi e stratagemmi che dovevano essere utilizzati dai tipografi nella loro attività quotidiana.
In inglese il telaio si chiama chase. L’argomento merita solo tre righe su Wikipedia, non linkate alle edizioni in nessun’altra lingua.
Accanto all’articolo c’è una foto interessante. La forma di un frontespizio di un’edizione del Nuovo Testamento coi caratteri della fonderia scozzese Miller.
In questo caso non si fa uso di serraforme, né composti né a cunei separati. Però se vediamo le marginature a sinistra e in basso ci rendiamo conto che sono più sottili ad un’estremità e meno a quell’altra. E i lati dei due elementi che fronteggiano la superficie obliqua seguono lo stesso andamento. Insomma, si tratta di cunei nel vero senso della parola.
Non c’erano chiavi per regolarli. Con qualche colpettino a mano (con un martellino?) venivano fissati, nello stesso modo venivano rimossi.
In questo caso le marginature sono ridotte al minimo. Il telaio può contenere soltanto una pagina e i cunei. Le dimensioni sono minori, quindi non sono necessari manici per sollevarlo.
Sulla cornice si nota impresso il nome della fonderia, Miller & Richard.
Trattandosi di una cornice di ferro in cui erano sistemati caratteri in piombo, tutto l’insieme era molto più pesante degli oggetti che siamo abituati a spostare al giorno d’oggi quando si stampa.
Wikipedia in inglese contiene anche tre righe relative ai cunei e serraforme, chiamati genericamente quoin. Non è linkata a edizioni in nessun’altra lingua.
Ci sono tre fotografie: una di un serraforme Challenge Hi Speed Quoin completo, una delle sue componenti disassemblate, mentre la terza è quella che abbiamo già visto, coi cunei propriamente detti.
Su Youtube si può vedere il filmato di un vecchio tipografo che prepara una forma tipografica e stringe i serraforme con l’apposita chiave. L’audio è in lingua inglese.
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