Cinque macchine che hanno cambiato il mondo della stampa
La prima è la rotativa, nata nel corso
dell’Ottocento nell’ambito dei tentativi di velocizzare le
operazioni di stampa. Fino ad allora i torchi si basavano sullo
stesso meccanismo messo a punto da Gutenberg quattro secoli prima,
con la forma da stampa in orizzontale su cui il foglio veniva premuto
da un altro piano. Questo tipo di pressa venne sostituito dalle
presse piano cilindriche, in cui la forma coi caratteri in rilievo
era in piano, ma la pressione su foglio veniva esercitata da un
cilindro che vi ruotava sopra. Nelle rotative anche la forma da
stampa era curva, e permetteva di semplificare le operazioni: mentre
prima le fasi erano due, una per mettere il foglio e una per
toglierlo, con la rotativa i fogli venivano stampati mentre passavano
tra i due cilindri, uno dopo l’altro senza interruzione. Quando
l’industria cartaria riuscì a produrre enormi rotoli anziché
fogli singoli, nacquero le rotative come le conosciamo oggi e come
sono entrate nell’immaginario collettivo grazie al cinema. Infatti per rendere l’idea che una notizia si sta diffondendo in lungo e in largo, il vecchio trucco cinematografico è quello di inquadrare il lungo nastro che scorre a velocità pazzesca con tutte le pagine del giornale prima che siano separate una dall’altra.
La seconda invenzione è la macchina da stampa offset, che è nata da un errore. Per sbaglio era stata eseguita un’operazione di stampa su una pressa litografica senza posizionare il foglio. L’inchiostro era stato trasferito dalla forma al caucciù del rullo. Quando venne posizionato il foglio, si ottenne una doppia stampa: su una facciata c’era quella corretta, dalla lastra litografica, sull’altra c’era quella ribaltata, ottenuta dall’inchiostro che era rimasto sul rullo di caucciù. Il litografo si rese conto che i contorni delle lettere in quest’ultima erano molto più definiti, perché il caucciù si adattava alla carta meglio di quanto facesse la rigida superficie litografica. Nacque così la stampa offset, che prevede appunto un doppio passaggio dell’inchiostro, dalla lastra al rullo in caucciù e da quest’ultimo al foglio.
La terza invenzione è la Linotype, di cui abbiamo già parlato parecchie volte. Non è una macchina per la stampa, ma per la composizione. Fino a quel momento un tipografo doveva comporre i testi prendendo a mano i caratteri dagli scompartimenti della cassa. Il primo problema è che poteva terminare le lettere a disposizione, che andavano ordinate alla fonderia e venivano consegnate magari dopo parecchi giorni. Il secondo è che quando bisognava prendere una colonna di testo e dividerla in varie parti per impaginarla in un giornale, c’era il rischio concreto che i caratteri saltassero fuori in mille direzioni diverse, visto che non erano legati tra di loro. La linotype invece aveva una tastiera che permetteva di digitare le lettere senza andarle a cercare nei vari scompartimenti. Inoltre conteneva direttamente le matrici, su cui veniva pompata una lega a base di piombo che si solidificava, formando una riga con le parole in rilievo. Non c’era il rischio che le lettere andassero per conto proprio, perché era un blocchetto di metallo unico, quindi era facile da maneggiare. E non c’era il rischio di rimanere senza caratteri, perché la macchina li fondeva di volta in volta, finché c’era la materia prima (matrici e lega in piombo). Inoltre, mentre prima a fine stampa bisognava riporre ogni lettera nel suo scompartimento, qui le matrici tornavano al loro posto automaticamente. Questo rese più rapide le operazioni di composizione e impaginazioni dei testi, per cui aumentò il numero di pagine dei giornali.
La quarta invenzione è la Lumitype, che permise di passare alla fotocomposizione o composizione a freddo. Non solo non c’era bisogno dei caratteri in rilievo già pronti, ma nemmeno di fonderli sul momento. Le lettere venivano impresse direttamente sulla pellicola o su carta fotografica, usando raggi luminosi, inizialmente attraverso dei negativi, nelle macchine successive disegnandoli con tubo catodico. Questo permise tutta una serie di novità. Tra le altre cose, scollegò il concetto di font da quello di dimensione. Prima c’era differenza tra un Times New Roman 12 e un Times New Roman 10 in metallo, perché andavano acquistati a parte e messi in due casse diverse. Con le macchine per la fotocomposizione invece si poteva ingrandire o rimpicciolire una scritta grazie a una lente di ingrandimento che regolava il raggio luminoso. E questo ridusse i costi e lo spazio necessario per organizzare una tipografia: non serviva più un’intera cassettiera per tutte le dimensioni possibili di ciascun font: la forma delle lettere è memorizzata su un disco singolo, su una matrice, su un floppy, a seconda delle epoche.
L’ultima invenzione è quella del computer, che permette non soltanto di memorizzare e comporre il testo sul monitor, ma anche di impaginarlo già con foto, grafici, colori, sfondi. Il risultato che si vede sullo schermo è quello che si otterrà poi su carta. Nella stampa industriale si poteva ottenere da computer la pellicola da usare per creare le forme da stampa, prima, e ora le forme da stampa direttamente. Senza contare il fatto che a differenza delle macchine precedenti il computer è a disposizione non solo dei tipografi, ma di tutti, quindi chiunque può cimentarsi con scelte in materia di font, interlinea, margini, che prima erano riservate a pochi, e stampare in proprio con tecniche che nulla hanno a che vedere con quella inventata da Gutenberg.
“Quale sarà la prossima macchina che cambierà radicalmente il mondo della stampa?”, è la domanda conclusiva dell’articolo. E in effetti a me colpisce la forma della Q. Pixartprinting infatti un font caratteristico per i suoi articoli, Stelvio Grotesk, attinto dal proprio server.
Il carattere non è conosciuto da Identifont.
Le informazioni all’interno del file rimandano a “Sutdio K95” (Studio K95, in realtà), o Klim Type Foundry, disegnatore Danilo De Marco
Fonts In Use ne ha ricevuto già due segnalazioni, dal lancio del font nell’ottobre 2020.
Sono le uniche due segnalazioni riconducibili a Danilo De Marco, che ha disegnato anche lo Stelvio Grotesk Stilus, ancora mai segnalato.
Lo Studio K95 non ha mai rilasciato niente se non i font di De Marco.
Luc Devroye ha una scheda dettagliata delle attività di De Marco. Lo Stelvio non viene neanche citato, ma ci sono parecchi specimen e link ai suoi lavori, alcuni gratuiti, uno credo ritirato dal web.
Tra le altre cose c’è anche un dingbat dedicato ai mezzi di trasporto.
Esiste anche un sito ufficiale dello studio, impaginato con varie animazioni artistiche, su cui non ci sono font o non sono facilmente accessibili.
Il nome Klim Type Foundry è quello di una fonderia neozelandese che propone vari progetti interessanti. Scorrendoli velocemente noto il The Future, palesemente ispirato al lavoro di Renner, e il Maelstrom, un carattere display ispirato a quell’assurdo stile che nell’Ottocento qualcuno chiamava italian, a contrasto inverso (le aste verticali sono quasi sempre sottilissime, le grazie e i tratti orizzontali sono esageratamente spessi).
Lo Stelvio non fa
parte della lista, quindi forse non è più collegato con questa fonderia.
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