Smiley ed emoticon nell’Ottocento
Lo smiley è una faccina gialla con due puntini al posto degli occhi e una linea curva all’insù a simboleggiare un sorriso.
È stato inventato da un grafico americano, Harvey Ball, nel 1963, per una campagna di una compagnia di assicurazioni. È finito nel dominio pubblico, per cui l’inventore non ha guadagnato niente dal successo ottenuto dal disegno, a parte i 45 dollari circa della commissione iniziale.
Dal disegno originario ne sono derivati tanti altri, diffusi su internet grazie al formato gif: non solo ne sono stati realizzati con le espressioni più diverse (rabbia, pianto, stupore, complicità...) ma anche nelle situazioni più diverse (bevono birra, sventolano bandiere...), a volte in versione animata. E sempre sulla base di un cerchio riempito di giallo.
La trasposizione di alcuni di questi disegni nel formato emoji ha reso lo smiley una presenza quotidiana costante. Nei programmi di messaggistica è più comodo inviare una faccina sorridente-perplessa-stupita-rassegnata che spiegare a parole la propria reazione a un messaggio ricevuto. Le emoji si comportano come caratteri tipografici, per cui il disegno della faccina può inserirsi all’interno di un testo più ampio.
Collegato col concetto di smiley c’è quello di emoticon. Le emoticon sono insiemi di caratteri che riproducono un’espressione facciale, e che vennero usati agli albori di internet al posto delle emoji che ancora non esistevano. Il segno dei due punti seguito da un trattino e una chiusa parentesi riproduce, ruotata di 90 gradi in senso antiorario, una faccina che ride. Il primo uso di cui si è trovata traccia risale al lontano 1982.
Ma data la popolarità attuale del fenomeno, qualcuno è andato a spulciare negli archivi per cercare esempi ancora più antichi.
Per quanto riguarda gli smiley disegnati, è venuta fuori una pubblicità sull’Herald Tribune di New York datata 1953, in cui si vedono una faccina sorridente, una commossa fino alle lacrime, e una sognante a forma di cuore. La stampa però era in bianco e nero, quindi nessuno poteva immaginare che il colore giallo sarebbe stato scelto poi come standard.
Per quanto riguarda le faccine realizzate coi caratteri tipografici si risale molto, molto più indietro nel tempo, al 1893, quando un membro di un club di tipografia aveva inviato le sue creazioni a un giornale belga.
Una grande parentesi graffa era stata utilizzata in orizzontale a indicare i capelli pettinati con la riga in mezzo. Strani pallini erano usati per gli occhi. Le parentesi tonde erano usate per indicare i limiti della faccia e la bocca sorridente o curvata all’ingiù. Un tratto rettilineo veniva usato per il naso o per la bocca indifferente.
Il sito Graphiline ha pubblicato una foto del dettaglio di quella pagina di giornale. Più che le faccine, quello che stupisce semmai è il fatto che il testo sia impaginato in caratteri gotici. In Belgio si parlava tedesco, e i tedeschi sono rimasti affezionati allo stile gotico fino a poco prima della metà del Novecento.
Non il gotico di Gutenberg, ovviamente, ma un gotico moderno caratterizzato da linee molto sinuose.
Per chi volesse impaginare un articolo in maniera simile, su Google si può trovare gratuitamente l’UnifrakturMaguntia che si ispira a quello stile.
Da notare le prime due parole dell’articolo: “Ein Setzerscherz”, che Google traduce “uno scherzo da tipografo”.
C’è tantissimo spazio tra una lettera e l’altra. Nello stile gotico infatti non si usavano il grassetto e il corsivo: il modo per mettere in evidenza alcune parole era appunto aggiungere uno spazio tra una lettera e l’altra. O meglio, tra un glifo e l’altro, perché a ben guardare solo nella parola Setzerscherz compaiono ben due legature: tz e ch. Nel testo se ne vedono altre, alcune delle quali includono una lettera dalla forma strana che per noi è quasi irriconoscibile ma che in realtà è una lettera k (ce n’è una uguale nell’Unifraktur).
Quella delle legature è un’usanza medievale che è andata piano piano scomparendo. Al giorno d’oggi sono di uso comune soltanto quelle che includono la lettera f, che può unirsi con un’altra f, con una i, con una l e in alcuni font anche con la t. Ironia della sorte, nell’articolo ottocentesco la f e la s lunga (che sono pressoché uguali ai nostri occhi) non si uniscono mai con nessuna lettera, anche se non è escluso che si tratti comunque di legature, ossia di due lettere sullo stesso blocchetto metallico. Non in tutte le epoche è stato possibile allungare i tratti di una lettera al disopra dello spazio vuoto nel carattere successivo.
L’elenco delle legature comuni nel Fraktur si puà vedere su un sito in francese. Oltre alle legature con f ed s lunga, a tz, ck e ch che si vedono anche nell’articolo belga, c’era anche la doppia l.
La pagina è interessante perché mostra anche le lettere di due calligrafie corsive in uso in Germania nella prima metà del Novecento: il Kurrentschrift e il Sutterlinschrift.
C’è un esempio della prima, con trascrizione in Fraktur. Assolutamente illeggibile, almeno per noi.
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