Manoscritti di foglie di palma

Alcune scritture asiatiche si basano esclusivamente su tratti curvi, perché originariamente si usavano per scrivere su foglie di palma essiccate. Le foglie di palma hanno delle venature particolari, per cui i tratti rettilinei avrebbero potuto danneggiarle.

Ma come venivano conservate queste foglie?

Un esempio si può vedere sul sito Manuscript Evidence, con tutta una serie di istruzioni su come analizzare reperti di questo genere. L’articolo è stato scritto durante la pandemia, in risposta a un utente che aveva ereditato un vecchio manoscritto buddista di cui voleva saperne di più.

Le foglie di palma venivano ritagliate di forma rettangolare. Essiccate avevano un colore molto chiaro, giallognolo. Non c’era bisogno di tracciare le righe orizzontali, perché le stesse venature della foglia facevano da guida (e perché tracciare righe orizzontali avrebbe lacerato la foglia lungo la venatura).

In ogni foglio veniva fatto un foro in una posizione ben precisa, attraverso il quale veniva fatto passare un cordino, che serviva da rilegatura, diciamo, ossia permetteva di conservare i fogli nel loro ordine.

Nell’esempio mostrato, il foro non era stato effettuato esattamente al centro, ma era un po’ decentrato: in questo modo era impossibile capovolgere le pagine senza accorgersene. Cioè: con un solo filo è possibile far fare ad ogni foglio un giro di 360 gradi attorno al buco, ma una pagina capovolta sporgerebbe dal lato opposto rispetto alle altre, quindi si noterebbe subito.

Prima della prima pagina e dopo l’ultima veniva aggiunta una semplice tavoletta di legno dai bordi arrotondati, anche questa attraversata dal cordino. Quando il libro doveva restare inutilizzato, tutti i fogli rimanevano chiusi tra le due tavolette di legno, e il cordino serviva per legare il tutto e tenerlo chiuso. Il libro così poteva essere trasportato senza timore che i fogli si spostassero o si danneggiassero.

Nella stessa pagina viene mostrato un altro manoscritto del genere, ma più pregiato. Qui la copertina è in legno decorato e dipinto, e ha due buchi anziché uno, anche se il cordino passa soltanto in uno.

Il formato di questi libri era molto insolito, secondo i nostri standard: visto che le foglie di palma sono strette e lunghe, si scriveva per il lato lungo, ottenendo non più di sette-otto righe per pagina.

La scrittura utilizzata è quella singalese usata in Sri Lanka per scrivere nella lingua locale o in pali o in sanscrito.

Su Youtube si trova un video in cui una bibliotecaria mostra un paio di esemplari in suo possesso, che chiama “libri tibetani”.

Nel suo caso alle estremità del cordino non ci sono semplicemente dei nodi, ma dei dischetti di metallo bucati, che impediscono al cordino di sfilarsi.

I dischetti sono grandi come monetine, sottili, e hanno alcune scritte impresse. In un caso uno dei due è stato sostituito con un pezzetto di legno.

In entrambi i manoscritti, la gran parte della pagina è occupata da piccole illustrazioni, sette vignette per ogni pagina, sempre da leggere secondo il lato lungo, con piccole didascalie in alto.

Qui il buco per il cordino è sempre al centro della pagina, anche quando sono disponibili due buchi secondari in prossimità delle estremità, lasciati inutilizzati.

Tecnicamente sarebbe possibile capovolgere la pagina, ma visto che qui ci sono sempre delle illustrazioni anche chi non conosce la scrittura utilizzata è in grado di riconoscere qual è il sopra e qual è il sotto.

Mentre nel manoscritto singalese analizzato dal sito precedente il testo era su entrambe le facciate di ogni foglio, qui vediamo che il lato posteriore è sempre lasciato vuoto.

Il video è stato caricato a gennaio dell’anno scorso. È in inglese, con sottotitoli.

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