Scritture basate sui colori
L’anno scorso è stato caricato su Youtube un video in inglese intitolato “perché l’Africa occidentale continua ad inventare sistemi di scrittura”.
Un video realizzato a tavolino, ma con vari
effetti di animazione interessanti, e qualche accenno alla storia e ad alcune caratteristiche di queste scritture.
Un esempio di ciascuna viene sovrapposto a una mappa dell’Africa subsahariana occidentale. A volte le lettere sono composte solo di segmenti, a volte solo di curve, altre volte di segmenti e curve. Altre volte ancora sono disegni molto più elaborati. Una scrittura in particolare mi colpisce perché è diversa da tutte le altre: è colorata.
Tutti i glifi hanno la forma di uovo, ma con dei segni aggiunti nella parte inferiore o superiore.
Tra gli oltre 2.700 commenti raccolti dal video, ce ne sono vari che si sono soffermati sullo stesso dettaglio, di cui in effetti il video non parla.
Un utente chiede informazioni e gli viene risposto che si tratta dell’edo oracle rainbow script.
Un’idea alquanto bizzarra e scomoda. Immagino un vigile che deve scrivere una multa e continua a cambiare colore della penna. Qualche utente immagina che abbiano inventato penne di un altro livello. Qualcuno si preoccupa per le persone che non vedono i colori e che quindi non sono in grado di leggere questa scrittura.
Comunque sul web non si trova niente in proposito, se non un anno (1999), il nome del presunto autore e il Paese di provenienza: Nigeria.
Circolano solo un paio di specimen, apparentemente con i nomi delle lettere. Con tre forme e sette colori si ottengono 21 lettere diverse. Abbastanza per trascrivere tutte le parole, evidentemente.
Qualcuno scrive che “Il popolo Benin/Edo della Nigeria del sud ha sviluppato un sistema di scrittura cromatografico”, ma mi sa che pecca di ottimismo ed eccessiva fiducia nel prossimo. Visto che non c’è quasi nessuna traccia di tutto ciò sul web, è probabile che si tratti dell’invenzione di un unico individuo, che neanche la usa lui stesso, visto che non ha mai diffuso un qualsiasi testo scritto in questo modo.
Comunque l’idea non è propriamente originale, nel senso che esistono altre forme di scrittura basate sui colori. Ovviamente non si tratta di scritture in uso in qualche Paese del mondo, viste le prevedibili complicazioni, ma di esperimenti fatti da qualche inventore che aveva tempo da perdere.
Omniglot raccoglie ben 10 scritture inventate e basate sui colori (e tra queste non c’è quella nigeriana).
Il sito offre varie informazioni sulle regole per assemblare le parole, e anche degli esempi pratici, di solito l’inizio della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Per ogni scrittura viene precisata la lingua per cui è stata pensata. Quasi sempre inglese, con l’eccezione di portoghese e coreano.
Il Chromaphonoglyphics produce delle parole che mi ricordano tanti comodini.
Il profilo del lato superiore ha una forma diversa a seconda della consonante iniziale. O dell’insieme di consonanti, perché c’è una forma diversa per ogni gruppo di due o di tre. Lo stesso vale per il lato inferiore, con la differenza che l’apertura in questo caso è verso l’alto. Il colore indica la vocale.
Le parole di una sillaba hanno una forma abbastanza semplice (in inglese sono molte), quelle di più sillabe hanno una struttura a due o più piani. Anche il punto si aggiunge come un piano in più, nero stavolta. Tutto ciò non altera la pianta quadrata di ciascuna parola. Lo spazio non c’è, visto che non ce n’è bisogno. Nella scrittura normale infatti lo spazio serve a separare una parola dall’altra, e qui ogni parola è già un insieme a sé.
Mi ricorda il modo in cui si formano i geroglifici maya, con la differenza che lì non c’erano regole così razionali, c’era spazio per la creatività, e serviva un artista per disegnare musi di animali e facce di persone, mentre qui è tutto semplice e geometrico.
Il Color Alphabet prevede un quadratino di colore diverso per ogni lettera dell’alfabeto. Le maiuscole hanno uno dei lati arrotondati. Più monotono e complicato da imparare, anche perché spesso non abbiamo nomi precisi e condivisi per tutti i colori usati. Facile confondere la L (202, 62, 94) con la B (175, 13, 102). Per ogni colore viene fornito il valore Rgb.
Color Honey e Color Tokki si basano su simboli bicolori, una losanga o una coppia di linee che formano una specie di tessuto. Vengono forniti esempi di parole isolate, ma non di un discorso completo, quindi non si sa come gestire lo spazio tra una parola e l’altra, che va a interrompere il ritmo, credo.
Nel ColorHoney bisogna ricordare la sequenza nella quale leggere i simboli: sono quattro posizioni diverse che si ripetono, a formare una serie di esagoni che si intersecano.
L’Hexahue è facilissimo da ottenere come color font, dato che ogni lettera latina è ottenuta come un rettangolo di sei colori quadrati. Si tratta dei colori di base, rosso, verde e blu, e delle loro combinazioni pure, giallo, ciano e magenta, disposti in maniera sempre diversa. I numeri e la punteggiatura sono resi invece in bianco, nero e grigio.
Inutile spiegare per quale motivo gli antichi non hanno basato i loro sistemi di scrittura su qualcosa di simile. Si tratta di una complicazione, quando scritto a mano. La I noi la possiamo tracciare con un solo tratto, la L con due, mentre qui bisogna colorare una griglia di sei quadratini. Però il risultato complessivo è d’impatto: coloratissimo, sembra strano che contenga un messaggio che può essere decifrato, a fatica dato che manca la separazione tra una lettera e l’altra e una riga e l’altra e bisogna mantenere il conto. Inoltre lo spazio crea delle brutte interruzioni, specie quando è usata la versione nera anziché bianca.
Lo Spiraling Sillabics si basa su strane forme stilizzate che vanno disegnate in nero seguendo una spirale quadrata dove ogni lato è di un colore diverso a seconda della vocale.
Per essere strano è strano, anche se non è un granché né come leggibilità né come effetto decorativo.
Altri giocano sui colori puri o sulla loro combinazione con poche forme semplici, mentre il più inutilizzabile di tutti è il Simtex, che è una forma di crittografia. Prevede tutta una serie di conteggi da fare per decidere i simboli e i colori. Le regole non le ho capite per cui non sono in grado di decifrare nemmeno la prima lettera della solita dichiarazione dei diritti umani.
Non c’è dubbio che l’alfabeto tradizionale sia un invenzione notevolmente migliore: le lettere sono facili da tracciare e da riconoscere.
Certo, a computer non ci vorrebbe niente a convertire qualsiasi frase in una scrittura basata sui colori, ma gli stessi autori non ci hanno investito più di tanto. Infatti non hanno preparato delle pagine web in cui qualcuno possa scrivere qualcosa, ad esempio il proprio nome, e vedere come viene fuori.
Per il Color Alphabet qualcosa del genere c’è, ma non produce un output nella pagina, bensì in un file rtf che deve essere scaricato e aperto. Inoltre è stato messo a punto anche un font installabile. Inutile dire che nel font-viewer di Windows la frase di prova compare come una fila di strisce nere, come se le parole fossero state censurate.
Ciò non toglie che può essere installato e usato per comporre parole che compariranno come quadratini colorati tutti in fila, solo se visualizzate nei software che supportano i font di questo tipo (ad esempio il browser Firefox).
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