Half-tone letterpress printing a photograph in Cmyk
Su Youtube si può vedere un video di mezz’ora in cui si mostra come si poteva stampare una fotografia a colori usando quattro lastre di rame realizzate in base al principio dei mezzi toni.
Lo stesso principio si usa anche nella stampa moderna, solo che la tecnica più utilizzata oggi è quella della stampa offset, planografica, mentre qui si sta parlando di stampa in rilievo.
In inglese si usa la parola letterpress per indicare questa tecnica, ormai superata, mentre in italiano non c’è una vera e propria parola corrispondente. Si potrebbe parlare di tipografia, che però è una parola che può creare malintesi: anche l’impaginazione di un sito web prevede delle scelte tipografiche che però non hanno nulla a che vedere con la letterpress. Del resto la parola inglese è stata inventata pensando soprattutto ai caratteri mobili, le lettere appunto che vengono premute contro il foglio, mentre qui stiamo parlando di immagini. Le macchine costruite per stampare coi caratteri in rilievo però funzionano anche con le immagini dei cliché.
La tecnica dell’halftone, o mezzi toni, risale all’Ottocento, quando si usava soltanto l’inchiostro di un colore, il nero, di solito. Per poter creare anche le tonalità intermedie di grigio più chiaro e più scuro era stato elaborato un sistema che scomponeva l’immagine in una serie di puntini neri, più grandi o più piccoli. Vista da lontano, l’immagine non viene percepita come un’insieme di puntini. L’occhio percepisce soltanto che alcune parti hanno una sfumatura più chiara altre una più scura. È stato poi scoperto che si può realizzare qualsiasi colore combinando insieme puntini realizzati nei quattro colori di base: ciano, magenta, giallo e nero. Sono gli stessi colori presenti nelle stampanti moderne. Le loro iniziali formano l’acronimo CMYK.
Grazie ai procedimenti della fotografia chimica era possibile scomporre un’immagine in quattro componenti, ognuna delle quali riguardava la quantità di ciascuno dei colori di base che doveva essere trasferita al foglio. Per trasformare una foto continua in un’insieme di puntini si sfruttava un fenomeno che si crea facendo passare la luce attraverso una griglia realizzata su un supporto di vetro.
Tutto questo passaggio viene saltato dagli autori del video, a cui sono state fornite le lastre già pronte. La definizione è di 100 linee per pollice.
La macchina utilizzata per la stampa è una Heidelberg del 1960. In teoria sarebbe riconoscibile per una scritta col nome dell’azienda che compare su una barra davanti agli occhi dell’operatore e che serve come misura di sicurezza. Il dispositivo che prende i fogli da stampare e mette da parte i fogli stampati ha dei bracci che si muovono come le pale di un mulino a vento, da cui il soprannome della macchina, “Windmill”. Se l’operatore si avvicinasse troppo, uno di questi bracci potrebbe colpirlo in faccia con un movimento improvviso. La macchina quindi non si attivava fino a quando la barra di sicurezza non era messa in posizione, e si spegneva quando la barra di sicurezza veniva spostata per ispezionare i meccanismi. In questo caso però la barra originale è stata sostituita da una barra completamente trasparente. Della stessa forma e con la stessa funzione.
A differenza delle stampanti da ufficio, che lavorano contemporaneamente con tutti e quattro i colori, la Heidelberg lavorava con un colore alla volta. Erano quindi necessari quattro passaggi prima di arrivare al prodotto finito. Prima si doveva stampare il primo colore su tutti i fogli, in questo caso il ciano. Poi si doveva ripulire la macchina, caricarla col secondo colore, e stampare di nuovo su tutti i fogli, assicurandosi che la sovrapposizione fosse precisa. Il posizionamento della lastra e dei fogli doveva essere quindi molto accurato.
Inoltre, mentre sulle nostre stampanti non ci sono regolazioni manuali da fare, sulla Heidelberg serviva un lungo lavoro di preparazione per assicurarsi che sul foglio arrivasse la quantità giusta di inchiostro e alla giusta pressione.
Nelle moderne macchine offset molte regolazioni possono essere fatte in automatico a seguito della misurazione digitale della densità dell’inchiostro, o del mancato allineamento orizzontale o verticale di alcuni trattini di controllo. In questo caso invece tutto è affidato all’abilità dell’operatore. Che deve fare delle valutazioni senza avere sotto gli occhi il risultato finale: una foto composta solo da ciano e giallo ha un aspetto molto diverso dalla foto con tutti colori. Come si può essere sicuri che una certa quantità di giallo non risulti eccessiva o scarsa quando tutti gli altri colori saranno stati aggiunti? In questa tecnica non è previsto il Ctrl-z, l’annullamento dell’operazione. Un errore non individuato in tempo rischia di compromettere l’intera produzione.
Su ognuna delle lastre sono presenti dei trattini in rilievo che ne permettono l’allineamento in orizzontale e in verticale, e una lettera in rilievo con l’iniziale del colore da utilizzarsi, per evitare errori.
Dopo i primi tre colori la foto è praticamente completa. Il nero però viene aggiunto per aumentare il contrasto. È necessario, ma non bisogna esagerare.
Dopo la stampa, i fogli vengono ricondotti alla giusta dimensione con una taglierina che agisce con un colpo solo sull’intera risma (un lato per volta; la risma viene girata a mano dall’operatore, che deve anche impostare le dimensioni giuste prima del taglio).
Il filmato si conclude con inquadrature sui dettagli, sulla progressione dell’immagine mano mano che vengono aggiunti i colori, e sulle stampe derivanti dalle lastre singole.
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