Chi ha paura dei numeri arabi?
Nell’estate del 2018 una pagina Facebook aveva dato la notizia che uno straniero chiedeva di introdurre i numeri arabi nelle scuole italiane. Aveva ricevuto commenti che respingevano nettamente e fieramente la proposta, di cui poi era stata creata una compilation con quelli più assurdi. Evidentemente le notizie vere scarseggiavano, così Repubblica aveva dedicato un articolo alla questione, ridicola per il semplice fatto che i numeri arabi sono quelli che usiamo comunemente. Vennero introdotti nel tredicesimo secolo dal matematico pisano Leonardo Fibonacci, al posto dei numeri romani che come è noto sono più complicati da usare. Che anno è il MDCCCLXXIX? È se vogliamo moltiplicare questo numero per XIV come li mettiamo in colonna?
I numeri arabi, che Fibonacci chiamava indiani, erano molto più pratici e semplici da leggere e da incolonnare. Laddove una delle cifre mancava, il posto veniva occupato da uno 0, e l’invenzione dello zero è considerata importantissima nell’ambito del calcolo matematico.
In precedenza i calcoli si facevano usando l’abaco, che pressappoco funziona come i numeri arabi, ma mancava la versione scritta.
Repubblica all’epoca aveva inserito accanto all’articolo anche un’immagine con le cifre arabe in quattro versioni diverse a confronto. Le cifre arabe orientali sono pressoché irriconoscibili. Il 2 e il 3 partivano da un’asta verticale a cui erano collegate una o due piccole u in alto. Numeri con questa forma sono ancora usati in alcune scritture asiatiche e quindi vengono inseriti nei font con un valore Unicode ben preciso. Al posto dello 0 si usava il punto, mentre il cerchietto indicava il 5.
Le cifre arabe occidentali sono un po’ più riconoscibili. Il 4 però forma un ricciolo strano, il 5 è una via intermedia tra un 7 e un 4 aperto, il 6 è una specie di S. L’8 ha due occhielli, ma tracciati entrambi in senso orario.
Nella versione del dodicesimo secolo vediamo che l’8 ha la sua forma normale, ma il 9 ha la forma del 6, il 5 ha la forma del 9, il 6 è una p, il 7 ha il tratto superiore che si allunga a destra, e il 4 è ancora un ricciolo indefinibile.
Nella versione del dodicesimo secolo il 2 e il 7 si confondono, e il 5 invece sembra una e minuscola.
In effetti in un post precedente mi sono occupato già dei numeri di Fibonacci, basandomi sulle pagine di un manoscritto che si possono consultare online, e nessuna delle versioni proposte da Repubblica corrisponde esattamente alle forme tracciate dal matematico medievale. Dove 016789 erano pressoché come li conosciamo noi. 2 e 3 partivano da un tratto superiore orizzontale sotto cui si trovavano una o due c. Il 4 era ribaltato sull’asse verticale, e aperto col tratto centrale rialzato. Il 5 si confondeva col 7: la differenza era il tratto superiore curvo, simile a quello che Repubblica inserisce tra le cifre arabe occidentali.
Anche il blog Smirnoffsite era rimasto colpito dalla notizia nel 2018, e aveva dedicato un post alla ricostruzione del percorso che avevano fatto i numeri arabi/indiani per arrivare fino a noi.
L’invenzione di questo sistema viene fatta risalire a qualche secolo prima di Cristo.
Il sito pasticcia un po’ le date, parlando di un vescovo siriano che nel 650 avanti Cristo accenna in un proprio manoscritto ad alcuni simboli con cui il popolo indiano riesce a fare i conti velocemente.
Difficile che ci fosse un vescovo sei secoli prima della nascita di Cristo. Evidentemente si sta parlando del periodo dopo Cristo, ossia oltre mille anni dopo.
Wikipedia in italiano non accenna né al settimo secolo prima di Cristo né dopo Cristo, e non parla di vescovi.
Secondo l’enciclopedia nel 300 avanti Cristo si usavano i glifi 1, 4 e 6, mentre un secolo più tardi troviamo i glifi 2, 7 e 9.
Ma l’uso del glifo non c’entra niente col sistema di numerazione. L’articolo dice che il glifo 0 compare per la prima volta nel nono secolo, nella regione indiana di Gwalior.
Che sistema usavano in India prima di inventare lo 0? L’articolo non lo dice. Dice che nel mondo arabo gli scienziati utilizzarono “fino ai tempi moderni” il sistema di numerazione babilonese mentre i mercanti utilizzavano i numeri abjad.
Qualche accenno ai numeri arabi circolano in Occidente già prima del Mille, ma Fibonacci racconta di avere conosciuto i numeri indiani in una scula di Bugia, oggi Bijaya, città algerina in cui il padre lavorava per conto dei mercanti pisani.
La pagina contiene anche un paio di tabelle che mostrano le diverse forme dei glifi attinte da fonti diverse. Se alcuni, come l’1 e l’8, hanno sempre avuto una forma riconoscibile comune a tutti gli autori, altri sono passati attraverso forme completamente diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati. Il 4 per esempio era disegnato in maniera complicata e sempre diversa, mentre il 5 aveva spesso la forma semplice di un 4 aperto.
Commenti
Posta un commento