Duemila post

Questo blog ha superato il traguardo dei duemila post pubblicati. Auguri.

Diamo un’occhiata alle statistiche: quali sono quelli che hanno attirato di più?

Al primo posto quello sul font utilizzato nei cartelli stradali. Effettivamente sul web si trova molto poco, è un tema sottovalutato, però è interessante, visto che i cartelli ce li abbiamo sempre di fronte ogni volta che usciamo di casa. Ed è anche uno degli aspetti più interessanti della tipografia novecentesca: tra il Quattrocento e l’Ottocento gli incisori realizzavano soltanto caratteri destinati alla stampa dei libri; nell’Ottocento nacque l’esigenza di realizzare caratteri d’impatto per la pubblicità, per catturare l’attenzione del pubblico e fornirgli il contesto in cui inserire le parole che leggeva; il Novecento invece è il secolo dello stile tipografico internazionale, dove l’esigenza è quella di realizzare caratteri che siano facilmente leggibili e che siano neutri in maniera da concentrare l’attenzione del lettore sulle parole in sé. I caratteri della segnaletica, quindi.

Il secondo post più cliccato è dedicato all’alfabeto segreto delle Giovani Marmotte, che non è un tema tipografico per il semplice fatto che nessuno ha ancora caricato online un font ispirato a questa scrittura. Che in effetti è pressoché dimenticata: ideata negli anni Novanta per i lettori di una rivista italiana della Disney, praticamente non ne ho trovato traccia sul web quando ho scritto quel post.

Al terzo posto c’è un articolo sui caratteri in legno e le tipografie novecentesche, che credo abbia ricevuto parecchie visite da parte di chi cercava informazioni sulla Pedalina del film di Totò e Peppino La banda degli onesti. La gente si chiede: esisteva davvero la fabbrica Bordini e Stocchetti di Torino, produttrice di quella macchina eccezionale? La risposta è no. Ma la macchina esisteva veramente ed era davvero prodotta a Torino.

Segue uno dei post dedicati al famoso restyling di Repubblica del 2017, che da un lato è stato disastroso perché il quotidiano si è dovuto rimangiare molte delle scelte che aveva fatto in termini di impaginazione, dall’altro ci ha lasciato i font della famiglia Eugenio, in uso ancora adesso, uno dei lavori più appariscenti per quanto riguarda i caratteri personalizzati per i quotidiani italiani (insieme a quelli realizzati per Corriere Della Sera e Sole 24 Ore).

Un altro post che ha riscosso un certo successo è quello sul corpo del carattere, che avevo scritto per chiarire un po’ che cosa si intende con questo concetto ma a rileggerlo mi rendo conto che è venuto fuori molto confuso. Il guaio è che la materia è abbastanza intricata dal punto di vista dei non addetti ai lavori, ma il lato positivo è che non serve a niente approfondirla: se ai tempi dei caratteri in metallo i tipografi dovevano lavorare con le equivalenze per decidere quale corpo utilizzare per riempire una pagina di un numero di centimetri ben preciso, col computer si lavora a occhio. Imposti la pagina, incolli il testo, lo ingrandisci o rimpicciolisci per adattarlo allo spazio, e stampi il tutto senza fare mente locale più di tanto sui punti tipografici.

In molti hanno cercato informazioni sul font usato sui green pass. Tema stuzzicante, ma su cui c’è poco da dire. Bastava usare il sans serif di default, visto che tutte le garanzie anti-falsificazione erano contenute nel Qr Code e si basavano su algoritmi e formule informatiche da eseguire con l’apposito software.

Un altro dei post più cercati è quello sulle micro-scritte delle vecchie carte d’identità. Una tecnica anti-falsificazione che si usava una volta, e che si usa ancora se uno guarda bene anche sui tesserini che vengono forniti al giorno d’oggi, ad esempio le patenti. Per forza di cose, le apparecchiature di cui i falsari sono in possesso stampano i dettagli con una qualità minore rispetto agli originali, ed è più facile accorgersene cercando di leggere le scritte a dimensioni piccolissime (eccezionali quelle sulle banconote che maneggiamo distrattamente tutti i giorni).

Scorrendo la lista troviamo il post sulla scritta che si vede sul cancello di Auschwitz, a cui gli utenti arrivano per motivi tutt’altro che di interesse tipografico, il logo della Panda (purtroppo non ho trovato neanche un font che gli somiglia) e vari tutorial su alcune funzioni e tecniche per ottenere effetti particolari con OpenOffice.

Una sorpresa è che in pochi giorni è balzato al sedicesimo posto il post sul logo di una manifestazione ciclistica che si è svolta questo mese nel nord Italia. Le lettere della parola-slogan erano state disegnate come se fossero le righe verticali di un codice a barre. Non si tratta di un font, ma comunque è un lavoro di design interessante, che mi ha portato a dare un’occhiata a vari lavori precedenti dello studio che se n’è occupato.

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