I caratteri di Gutenberg

Font Fabric ha pubblicato qualche anno fa un lungo articolo sul primo carattere tipografico della storia, quello messo a punto da Gutenberg a metà del quindicesimo secolo.

L’articolo non è scritto da uno storico ma da un designer curioso. Non si può pretendere accuratezza scientifica, però ci sono parecchie informazioni e spunti interessanti.

“Considerata la natura pratica di Gutenberg, non è una sorpresa che non abbia rivendicato il carattere come suo dandogli uno specifico nome”, scrive il sito.

In realtà l’idea che un certo carattere debba avere un nome e possa essere tutelato dalle leggi sul copyright è un’idea che è arrivata gradualmente nel mondo della tipografia.

Nessuno poteva stampare con gli stessi caratteri di Gutenberg all’epoca per il semplice fatto che si trattava di oggetti concreti, conservati sotto chiave nel suo laboratorio. Le tecniche di produzione e per quanto possibile di stampa vennero mantenute segrete il più a lungo possibile, e questo era l’unico modo per tutelarsi.

Non c’erano leggi che vietavano di incidere caratteri simili, così come non c’erano e non ci sono leggi che riguardano la calligrafia. Una persona non dà il nome alla propria calligrafia, e se vogliamo scrivere a mano un biglietto imitando una calligrafia elegante non dobbiamo chiedere l’autorizzazione della persona che ha realizzato la scritta a cui ci stiamo ispirando. E all’epoca non c’era il copia-e-incolla: per realizzare una copia dello stesso livello dell’originale bisognava avere talento e pratica.

Comunque, al di là dei nomi scelti dai disegnatori moderni per le loro digitalizzazioni, gli storici chiamano quel carattere Donatus-Kalender, o DK, perché usato per anche per stampare la grammatica latina di Aelius Donatus e un Kalender.

Ho già dedicato spazio in passato a questa storia, e mi suonava un po’ strana, perché una copia del Kalender che si vede su internet sembra avere delle maiuscole diverse rispetto a quelle della Bibbia. Ma le informazioni sono poche e frammentarie, quindi non è detto che le immagini che ho visto io si riferiscano al primo calendario realizzato da Gutenberg.

In effetti quello che si chiama Kalender sembra essere un opuscolo che incitava alcuni nobili tedeschi alla crociata, suddiviso in paragrafi intitolati coi nomi dei mesi.

Su Akg-images si può vedere la pagina di un “Calendario astronomico” di Gutenberg stampato forse nel 1448. La pagina contiene i mesi di aprile e maggio.

Difficile interpretare il contenuto, visto che è scritto in tedesco. Di sicuro non è ciò che ci viene in mente quando pensiamo a un calendario. Non ci sono i numeri dei giorni, ma dei paragrafi di una decina di righe di testo giustificato. E apparentemente la forma delle lettere sembra molto simile a quella della Bibbia.

Almeno, di quella che si può vedere sul sito The Morgan.

Due piccoli frammenti del Donatus risalente al 1453-54 invece si possono vedere sul sito dell’università di Princeton.

Anche qui i caratteri sembrano pressoché gli stessi.

Le maiuscole sono rubricate a mano, cioè ci è stato aggiunto un segno rosso per metterle in evidenza.

Una valutazione precisa però possono farla solo gli specialisti. A differenza di quello che succede oggi, che ogni lettera appare sullo schermo sempre uguale a sé stessa, all’epoca da una stessa matrice potevano derivare caratteri diversi, con varie imperfezioni. Le differenze si accentuavano a seconda del fatto se più o meno inchiostro finiva sulla lettera di volta in volta. Inoltre esistevano varie varianti di ogni lettera, forse esperimenti precedenti che non aveva senso buttare.

Nell’articolo di FontFabric c’è un’immagine con tutte le varianti identificate. Troviamo due volte la lettera A, tre volte la lettera F e molti altri doppioni, oltre alle numerosissime legature.

Certe lettere come la C e la E sono disponibili sia con una piccola grazia in alto a sinistra, sia senza. Quindi confrontando la stessa lettera sulle pagine di due opere diverse, non basta vedere che è in due versioni diverse per concludere che sono stati usati due font diversi. Bisogna fare un’analisi sistematica, per vedere se la variante che compare nella prima opera non compaia anche nelle altre pagine della seconda, e viceversa.

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