Hobeaux
L’Hobo è un classico della tipografia. Disegnato nel 1910 da Morris Fuller Benton, è immediatamente riconoscibile per la sua mancanza di linee rette e di tratti discendenti. In particolare la forma della g minuscola è inconfondibile.
Ne esistono in circolazione numerose versioni: Adobe e Linotype, Bitstream, Urw, Elsner+Flake.
E ci sono vari font basati sulle stesse forme, ma con nomi diversi. Uno è il Bogo, di Harold Lohner, 2016, Harold’s Font, acquistabile su Fontbros.
Un altro è l’Hobeaux, di James Edmonson, 2015, della semi-sconosciuta Oh No Type Company.
Molte lettere hanno in linea di massima la stessa forma dell’originale, ma in alcuni casi ci sono differenze che rendono immediatamente evidente che ci si trova davanti a una copia.
Ad esempio, la C invece di terminare con un’estremità superiore appena arricciata, ha l’estremità superirore che scende fino quasi a mezz’altezza, chiudendo molto la lettera. Il numero 4, aperto, anziché avere il lato superiore sinistro del tratto verticale che costeggia parallelamente il lato obliquo sulla sinistra, ha una normale asta verticale col lato superiore giusto un po’ spiovente.
Oltre a questo, ci sono differenze di peso, o di occhio. Confrontando i due font con l’apposito strumento di Identifont si può notare l’effetto diverso, e il diverso numero di lettere che entrano su ciascuna riga.
Dell’Hobeaux viene mostrato anche un set di numeri minuscoli, per cui è stata inventata una particolare deformazione per evitare di far scendere i tratti discendenti troppo sotto la linea di base, in un font noto per non avere tratti discendenti.
Di Edmonson Identifont elenca tre pagine di font. Il più popolare sarebbe l’Eckmannpsych Small, sicuramente ispirato a qualcosa di inizio Novecento.
Troviamo vari script, un serif (Swear Display), uno con aste mezze bianche e mezze nere (Duke) e varie versioni di un sans che va da Condensed a Wide (il nome è Obviously), oltre ad un altro sans che si chiama Vulf).
Edmonson lavora e insegna in California.
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