Antique Olive. Felpe offensive
Ho trovato un libro del 1974, casa editrice Sei, Torino.
In copertina c’è una foto in cui le parti scure sono in inchiostro nero e quelle che dovrebbero essere chiare in inchiostro blu relativamente scuro, il tutto contornato da una spessa cornice nera attaccata all’immagine.
Il titolo è in nero, sottotitolo in blu, nome degli autori in blu. Il carattere sembra un Times New Roman grassetto corsivo. Una particolarità è l’assenza di maiuscole nei nomi degli autori e nelle iniziali delle frasi. Compare solo una maiuscola nel nome di una città citata nel titolo.
Credo che abbia qualcosa a che vedere con lo stile tipografico internazionale che si usava all’epoca.
In alto c’è la dicitura “scrittori per la scuola”, anche questa tutta in minuscolo, ma stavolta in caratteri sans-serif.
Mi ricorda lontanamente il Gill, ma non è Gill.
La a ha il tratto di destra che termina in verticale, puntato verso il basso. La c ha le estremità tagliate in verticale. La i ha il puntino tondo. La t ha un bel raccordo curvo tra la punta superiore e l’estremità di sinistra del tratto orizzontale.
Sto pensando di scattare una foto e inviarla a un servizio di riconoscimento automatico dei font, ma poi mi viene in mente che non deve essere così difficile arrivarci tramite la descrizione. Gli anni Settanta vengono molto prima dell’era dei computer, l’offerta di caratteri tipografici era molto limitata.
Compilo il questionario su Identifont e senza nessuna difficoltà arrivo all’Antique Olive, disegnato da Roger Excoffon nel 1962-66 e pubblicato oggi da Adobe e Linotype.
Il nome deriva dalla fonderia francese che lo ha commercializzato per prima, la Fonderie Olive.
A quanto dice il sito i senza grazie venivano chiamati antique, all’epoca, in Francia.
Il nome del font non mi è nuovo: qualche anno fa avevo trovato un avviso affisso dai vigili urbani in cui c’era proprio questo font. In quel caso però comparivano solo le maiuscole, e il peso era molto maggiore.
Fonts In Use raccoglie ben 77 segnalazioni di Antique Olive, l’ultima risalente a due mesi fa. Alle quali se ne aggiungono 41 dell’Antique Olive Nord, un font che venne lanciato col nome di Nord nel 1959, prima che venisse disegnato l’Antique Olive, ma che oggi viene considerato parte della stessa famiglia.
Altri due font dello stesso autore superano le 40 segnalazioni: Banco, 43 e Mistral, 41.
Il secondo è famoso perché incluso nel software Microsoft, è un corsivo con la tipica a stretta e aperta sulla destra, ce l’hanno anche i non addetti ai lavori.
Il Banco pure capita spesso di vederlo in giro, è fatto di tratti trapezoidali o curvi accostati fra di loro a formare lettere maiuscole leggermente inclinate in avanti.
Uno degli usi segnalati è quello della testata della rivista di skate Trasher, il cui logo compare anche sulla contestata felpa indossata dalla sorella di Giulia Cecchettin.
La cronaca nazionale si è occupata dell’argomento quando, dopo l’omicidio, la sorella della vittima, in un’intervista in Tv se l’era presa col patriarcato, venendo criticata da un politico locale per il fatto che lei indossava una felpa con simboli satanici.
Che in effetti è vero: il disegno raffigura una stella a cinque punte capovolta che si sovrappone alla testa di un caprone.
Ma per i siti di informazione portare in giro simboli satanici non è sintomo di satanismo. Il Fatto Quotidiano ha scritto nel titolo dell’articolo che “l’accusa (falsa)” viene smentita dal fatto che quella è “solo una felpa di Thrasher, rivista di skate”.
E Bufale.net approfondisce trascrivendo una discussione su Reddit in base alla quale, siccome gli skater negli anni Ottanta venivano trattati come spazzatura, avevano deciso di mostrare con orgoglio quanto erano spazzatura. E quindi ostentavano teschi, pentagrammi, simboli dell’anarchia, ridacchiando quando i giornali locali pubblicavano articoli su sette sataniche e criminalità. “Non eravamo satanici, volevamo solo prendere per il cu*o la gente. Eravamo piccoli criminali, sì, graffiti, violazioni di domicilio, vandalismo e denunce per schiamazzi, ma non satanisti”, dice la citazione.
Un po’ come i punk, che usavano spesso le svastiche come simbolo anti-nazista e anti-autoritario (come a dire: voi siete i nazisti).
Solo che oggi se qualcuno andasse in giro con una felpa con la svastica faticherebbe parecchio a dimostrare che è “solo” una provocazione. Sarebbe bollato come nazista per il resto della sua vita.
Una maglietta che finì nelle cronache nazionali è quella indossata da una militante di Forza Nuova a Predappio.
Raffigurava un binario che portava al campo di concentramento di Auschwitz, inserito in un logo che ricorda quello della Walt Disney Pictures (dove c’è il castello delle fiabe).
La scritta diceva “Auschwitzland”, impaginata presumibilmente col font Waltograph.
L’intento era quello di contestare lo sfruttamento turistico di una tragedia.
Condannata inizialmente a 9 mesi e a 600 euro di multa, in seguito l’accusa è stata annullata, non perché l’accusata non abbia commesso reato ma perché il reato da contestare era un altro. Anziché riferirsi alla legge Mancino contro gesti, azioni e slogan legati alla ideologia nazifascista bisognava citare l’articolo 604 bis del codice penale, incitamento razziale fondato sulla negazione, sulla minimizzazione o sull’apologia della Shoah.
Tutto da rifare.
Simboli satanici sì, simboli nazisti no.
E a proposito di satanismo: uno dei crimini più efferati di cui si parla in questi giorni è collegato non coi riti satanici, ma con gli esorcismi per scacciare il demonio.
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