Dannati traduttori automatici
Stavo cercando sul web una guida su come usare i font variabili, e ho trovato una pagina su web.dev che contiene un articolo in italiano apparentemente molto dettagliato.
Però basta leggere le prime righe e rendersi conto che qualcosa non va:
I termini "fonte" e "tipo di carattere" vengono spesso utilizzati in modo intercambiabile dagli sviluppatori. Tuttavia, c'è una differenza: un carattere è il design visivo di base che può esistere in molte tecnologie di composizione tipografica diverse, mentre il carattere è una di queste implementazioni, in un formato file digitale. In altre parole, un carattere è ciò che vedi e il carattere è ciò che utilizzi.
Che cavolo significa?
Evidentemente si tratta di un testo tradotto in automatico dall’inglese, dove esistono due parole per indicare i tipi di carattere: font e typeface. Leggiamo cosa diceva l’articolo originale:
The terms font and typeface are often used interchangeably by developers. However there is a difference: A typeface is the underlying visual design that can exist in many different typesetting technologies, and a font is one of these implementations, in a digital file format. In other words, a typeface is what you see, and the font is what you use.
In base a questa definizione, il typeface è il disegno, il font è il file. Una volta che hai deciso che vuoi impaginare un testo in Helvetica hai scelto il typeface, ma a quel punto devi controllare se il font corrispondente è installato sul tuo computer. Il typeface sarebbe il disegno contenuto nel font.
Questa definizione a volte si confonde con quella contenuta nel paragrafo successivo, in cui si parla della distinzione tra famiglia e stile.
A style is a single and specific typeface, such as Bold Italic, and a family is the complete set of styles.
Insomma, il Times New Roman normale e corsivo sarebbero due typeface diversi, facenti parte della stessa famiglia Times New Roman.
A volte però la parola typeface viene usata come sinonimo di famiglia contrapposta a font che invece indica indicare lo stile, visto che tradizionalmente stili diversi sono contenuti in file diversi.
Nei software per il desktop publishing ci sono due menù diversi, uno per scegliere il font face (un altro possibile nome per il typeface) e uno per scegliere lo stile (ciascuno dei quali sarebbe contenuto in un diverso file).
In inglese i due termini a volte vengono usati impropriamente come sinonimi. In italiano non esistono due modi diversi per tradurli in maniera univoca. Dovrebbero essere tradotti come tipo di carattere, ma spesso si preferisce abbreviare dicendo carattere. E carattere è anche la traduzione della parola inglese character che indica la singola battuta in un dattiloscritto, oppure il singolo glifo.
Tempo fa leggendo una pagina web in italiano dedicata all’inventore dei caratteri mobili in Cina, Bi Sheng, ho trovato scritto che realizzava personaggi. Di nuovo il traduttore automatico all’opera: la parola character in inglese può riferirsi ai caratteri tipografici o ai personaggi di un racconto.
A complicare ulteriormente la situazione si sono aggiunti programmi come Office e derivati, nei quali gli stili bold, italic e bold italic si attivano con pulsanti a parte, fermo restando il nome che compare nella casella dedicata al carattere o font. Quindi per molti utenti passare da Arial ad Arial Black significa cambiare font, mentre passare da Arial ad Arial Bold non è cambiare font, anche se il software in entrambi i casi attinge la forma delle lettere da un file a parte. Se c’è. Se non c’è, il software crea comunque una versione in grassetto del font indicato, in automatico. Un font diverso, pur in assenza del relativo file messo a punto dal disegnatore.
Font in inglese può significare fonte, da cui l’errore di traduzione nella prima riga, ma l’origine della parola arriva dal francese. La radice è la stessa della parola fondere, ed è collegata col fatto che prima dell’arrivo dei computer i caratteri tipografici erano realizzati in rilievo su blocchetti di metallo ottenuti versando il metallo fuso in uno stampo.
In francese il termine era femminile: la fusione di un carattere, la font. In inglese è neutro. Non si dice he is a font o she is a font ma it is a font. Col computer, il termine è sbarcato in Italia e sono nate due scuole di pensiero: c’è chi lo considera un nome maschile e chi lo considera un nome femminile. Di solito chi ha studiato design preferisce il femminile, fermo restando che i nomi propri sono maschili: il Times New Roman è una font. Chi ha studiato informatica (la stragrande maggioranza) preferisce il maschile: il carattere, il font. Alcuni hanno proposto di usare il femminile per le font in metallo e il maschile per i font digitali. A me, quando si parla delle font viene in mente la differenza tra Helvetica e Times New Roman per forma delle lettere e usi, mentre quando si parla dei font viene in mente la differenza tra .ttf e .woff, o le varianti contestuali o stilistiche, insomma questioni relative al software. I typeface sarebbero femminili e i font sarebbero maschili, riferendoci alla definizione iniziale.
Non so come ci si regolava prima dell’arrivo dei computer. Bodoni all’inizio dell’Ottocento diceva che lui disegnava alfabeti, anche se in effetti un font non è composto solo di lettere dell’alfabeto, anzi, ci sono font in cui le lettere dell’alfabeto non compaiono affatto.
Queste non sono le uniche parole in ambito tipografico in cui il significato va desunto dal contesto. Carattere, glifo, battuta e lettera sono altri termini che con una certa disinvoltura possono talvolta essere usati come sinonimi, ma non sempre.
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