Documentario Perspective su Gutenberg
Su Youtube si può vedere l’intero documentario di un’ora, in inglese, realizzato da Perspective sull’invenzione della tipografia.
Il filmato comincia all’interno della British Library, dove viene conservata copia di tutti i libri in lingua inglese che vengono pubblicati. L’autore del documentario, Stephen Fry, giocherella nella sala lettura con il John Bull Printing Outfit, una scatola che veniva regalata ai bambini qualche decennio fa per insegnare loro i principi base della tipografia, come era all’epoca. La confezione conteneva caratteri mobili in gomma con la forma delle lettere dell’alfabeto in rilievo, rispecchiate, che potevano essere assemblate insieme a formare le parole in un timbro. Bastava inchiostrare e premere su un foglio per ottenere la stessa scritta più e più volte.
Qualcosa di simile si vendeva anche in Italia, e non era necessariamente un gioco per bambini. Un adulto che voleva scrivere il suo nome su tutti i libri di sua proprietà poteva usare questo sistema.
Nelle inquadrature si vede l’archivio della libreria, coi vari scaffali che si possono spostare girando una ruota per ottimizzare spazio, e un sistema di nastri trasportatori, codici a barre e ascensori per far arrivare i libri al piano di sopra, dove qualcuno li ha richiesti.
L’idea attorno a cui è organizzato il documentario è quello di ricostruire una pressa funzionante come quella realizzata da Gutenberg, con i mezzi che si usavano all’epoca. Quindi è stato necessario trovare un artigiano che conoscesse il mestiere. E non ci sono presse sopravvissute dall’epoca, né progetti nel vero senso della parola. L’unica cosa che si può fare è osservare le più antiche illustrazioni in cui compare una pressa. La più antica in assoluto è una danza macabra del 1499.
Gutenberg stampava una pagina alla volta, mentre sulle presse successive le pagine venivano inserite due pagine per volta, anche se bisognava tirare la leva una volta per ogni pagina.
Mentre la pressa viene costruita, Fry visita le città in cui visse Gutenberg, a partire da Magonza, la cui immagine turistica è strettamente collegata col nome dell’inventore.
L’autore visita un monastero nei pressi della città, dove lavoravano gli amanuensi prima dell’invenzione della stampa, e va a vedere come erano fatte le presse in legno che si usavano per pigiare l’uva, a cui Gutenberg si ispirò per il meccanismo fondamentale della sua pressa.
Mentre l’artigiano lavora a realizzare filo e controfilo per la vite da montare nella pressa, l’autore del documentario va a visitare Strasburgo, dove pure Gutenberg visse alcuni anni.
L’artigiano inizia ad assemblare una pressa che desta qualche perplessità, perché è diversa dalle riproduzioni già realizzate altrove. Ma la fonte di ispirazione è un vecchio disegno, in cui si vede una struttura leggermente diversa rispetto alle altre conosciute, che forse poteva essere un modello obsoleto e quindi più vicino a quello in uso ai tempi di Gutenberg.
Ma Gutenberg non aveva bisogno solo della pressa, ma anche dei caratteri. Per questo l’autore si rivolge a uno storico che ha realizzato un laboratorio come quelli dell’epoca, e gli spiega come realizzare il punzone per ottenere la matrice da cui si ricavano i caratteri. Tra gli storici esiste un lungo dibattito a proposito del fatto che forse Gutenberg non aveva ideato esattamente lo stesso sistema che poi rimase in uso per secoli, forse utilizzava diverse procedure e materiali diversi, ma questo poco importa, in questo contesto.
In una giornata un incisore poteva ottenere uno, o al massimo due punzoni. E Gutenberg dovette realizzare non soltanto lettere maiuscole, minuscole e segni di interpunzione, ma anche molte legature, varianti e abbreviazioni, per un totale di 270 punzoni. Contando anche i risultati difettosi o quelli che andavano corretti nel disegno, questo significava almeno un anno di lavoro. Per un solo font in una sola dimensione.
I punzoni venivano temperati col fuoco e l’acqua, e a colpi di martello si imprimeva la lettera sulla matrice, fatta di un metallo più morbido.
A questo punto c’era bisogno della “forma”, un’invenzione di cui non si trovano tracce precedenti alla tipografia, a differenza della stampa, della pressa, dell’inchiostro che erano già stati usati in altri ambiti.
Con un mestolo si getta il metallo fuso, una lega a base di piombo, nello stampo ottenuto con la forma e la matrice per ottenere istantaneamente il carattere in metallo.
Fry vuole realizzare una e esattamente come quella di Gutenberg, ed esattamente nella stessa dimensione. Forse ci arriva in maniera empirica su una riproduzione anastatica, ma non si pone mai il problema di quantificarla in punti tipografici, anche perché il punto tipografico venne inventato solo secoli dopo, e per parecchio tempo si usavano altri sistemi per indicare le grandezze dei caratteri.
La pressa in legno concettualmente è semplice, ma assemblarla richiede impegno, collaborazione e forza fisica. Ci sono dei dettagli a cui uno non pensa: la vite ad esempio ha il doppio filo: seguendo uno dei canali lungo tutta la circonferenza non si arriva a quello sottostante, come nelle normali viti che siamo abituati a vedere, ma a quello ancora successivo.
Molto spesso si sente dire che il primo libro stampato da Gutenberg è la Bibbia. In realtà lo stampatore si occupò inizialmente di progetti meno impengativi, come indulgenze e una grammatica latina.
La stampa in grande tiratura comportava un problema di reperimento della materia prima. Per una copia della Bibbia servivano 140 vitelli da cui ottenere tutta la pergamena necessaria. Per una tiratura di 180 copie ne sarebbero serviti 25.000. Troppi, senza dubbio. Così si decise di stampare in gran parte su carta.
Le procedure per realizzare la carta erano arrivate da poco in Europa. A questo punto Fry va in un laboratorio che è in grado di produrre carta con le stesse tecniche che si usavano all’epoca. Dei grossi martelli azionati da un mulino ad acqua ottenevano la materia prima che poi andava prelevata a mano con un setaccio e messa ad asciugare per formare ciascun foglio, separatamente.
Il cartaro che compare in video ha un nome italiano, Roberto Mazzucchelli, e lavora a Basilea, in Svizzera.
In cinque mesi la pressa è pronta. Visto che non c’è stato un anno di lavoro per ottenere tutti i caratteri, Fry si è fatto spedire dall’America una pagina della Bibbia di Gutenberg già composta con i caratteri in metallo. L’unica cosa che fa è sostituire una delle e con quella che ha realizzato da zero a partire dal punzone davanti alla videocamera.
Gutenberg dovette studiare anche una formula adatta per l’inchiostro, visto che quelli a base d’acqua che si usavano in precedenza erano troppo fluidi e non legavano col metallo. Si scelsero dei colori a olio. In questo caso invece si prende un normale inchiostro da stampa in barattolo, già pronto.
Dopo avere provato l’emozione di stampare una replica di una pagina della Bibbia con una pressa costruita appositamente e su carta fatta con le tecniche dell’epoca, Fry vuole avere l’emozione di toccare una vera copia della Bibbia stampata da Gutenberg, seppure coi guanti di cotone necessari per non contaminare le pagine.
Quello che si trova davanti a prima vista è qualcosa di totalmente diverso rispetto a ciò che ha creato lui: la stampa avveniva solo con l’inchiostro nero, ma poi la pagina veniva decorata con miniature coloratissime, con capolettera e con l’aggiunta di tratti rossi su ogni maiuscola.
In molte delle pagine comunque non c’erano miniature e gli unici tocchi di colore sono i segni rossi sulle maiuscole.
Fry si trova a sfogliare delle pagine robuste, non qualcosa che cade a pezzi come si sarebbe aspettato.
Il filmato si conclude con qualche informazione sugli ultimi anni di vita di Gutenberg e con qualche osservazione sull’importanza della sua invenzione.
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