Get it out
Ancora alle prese con la chitarrista rockabilly spagnola La Perra Blanco.
C’è un album che si chiama Get It Out.
Le scritte sono in un font serif con contrasto, pesante e con punte arrotondate.
Volendo essere pigri si potrebbe ottenere qualcosa di simile usando il Cooper Black che viene distribuito insieme col software Microsoft. Il nome della cantante è in arancione su fondo nero, il titolo dell’album in rosa, sempre su fondo nero.
Passo la parola Blanco a What The Font per vedere se mi riconosce il font esatto.
Il primo risultato è VVDS Rashfield Bold di Vintage Voyage Design Supply. E già sappiamo che non è quello giusto, perché qui la C ha becco e sperone mentre sull’album ha l’estremità superiore a goccia.
Al secondo posto troviamo Royale Imogen Ultra Bold, di Jehoo Creative. Qui l’estremità superiore della C finisce con una grazia verticale. E soprattutto gli angoli non sono arrotondati.
Al terzo posto troviamo Chicago Makers Extra Bold, Din Studio. Qui l’estremità superiore della C è molto sottile, con un accenno di rigonfiamento.
Il successivo è Arsenica Antiqua Extrabold, dell’italiana Zetafonts (43 stili nella famiglia!). La C qui ha l’estremità superiore con inclinazione alla Belwe.
Troviamo poi Branca Poster Three di Uff, con grazie trapezoidali.
Poi c’è il Fiducia Serif, di Typograma, grazia della C quasi verticale.
L’Elanor Variable di Dirtyline studio ha una estremità superiore della C arricciata, ma il peso è troppo leggero.
Arrivo fino al Coachella Regular, che ha una C con l’estremità superiore arricciata e a goccia, ma le proporzioni non sono quelle.
La A qui non ha grazie sulla cima, a differenza della lettera che vediamo sull’album, dove il tratto sottile di sinistra si congiunge con l’altro più in basso della cima.
Le controforme della B sull’album sono molto più strette rispetto a quelle del Coachella, dove non solo sono larghe, ma sono anche notevolmente diverse tra di loro, con quella inferiore che si estende in orizzontale circa il doppio rispetto a quella superiore.
La N al confronto è larghissima.
Possiamo andare avanti così fino alla fine della pagina, e troveremo parecchie idee per font sostitutivi, ma non il font esatto.
Faccio un giro rapido su Google Fonts e non trovo niente di particolarmente interessante. L’unico su cui mi soffermo un attimo è il Caprasimo di The DocRepair Project, Phaedra Charles e Flavia Zimbardi, che però ha una C con becco e sperone e una A con doppia grazia in cima.
Strano che Google, che è un motore di ricerca, non abbia ancora sviluppato uno strumento di ricerca per immagini nel suo database. Che sta crescendo sempre di più: al momento conta 1601 font, senza la possibilità di confrontare nella stessa schermata i vari corsivi, grassetti o versioni black. Se il Caprasimo avesse avuto una versione regular, non avremmo mai visto in home page la sua versione black.
Mi fermo un attimo sul nome di Flavia Zimbardi. Nome italiano. Chi è? Dice Devroye che arriva da Rio de Janeiro ma lavora a Berlino.
Il suo lavoro più famoso secondo il sito sarebbe il Fraunces. Ma io ce l’ho. Dove l’ho preso? Sta su Google Fonts. Un font variabile, e nel peso 900 è adatto allo scopo, anche se ua una A a doppia grazia, una C con becco in avanti e controforme della B molto spaziose.
Le scelte di base delle lettere tra Fraunces e Caprasimo sono praticamente le stesse. Non ci sono altri font firmati da lei sulla piattaforma.
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