Addio, etaoin shrdlu

Nell’ambito delle ricerche per il film sulla Linotype (nel decennio scorso) è venuto fuori un documentario di circa mezz’ora che documenta l’ultimo giorno di lavoro delle linotype al New York Times.

La linotype è una macchina che serviva per comporre il testo da stampare. Se all’epoca di Gutenberg il tipografo doveva prendere a mano i caratteri in metallo, uno alla volta, dagli appositi scompartimenti, col rischio di usarli tutti e rimanere senza, e poi perdere tempo per rimetterli a posto dopo la stampa, nell’Ottocento erano stati inventati dei sistemi per automatizzare e velocizzare il lavoro. La linotype era uno di questi: aveva una tastiera, un magazzino con le matrici, una riserva di piombo fuso. Per comporre un testo bastava digitarlo sulla tastiera. Il piombo veniva poi pompato sulle matrici, e ne usciva fuori una riga di testo (line of type, da cui il nome linotype), che poteva poi essere messa nella pressa. Le matrici tornavano al loro posto in automatico.

Le linotype restarono in uso anche fino agli anni Ottanta del Novecento.

Il New York Times, che era più all’avanguardia rispetto ai giornali locali, le mandò in pensione dopo avere composto l’edizione del 2 luglio del 1978. Vennero sostituite con sistemi digitali e computerizzati.

La tastiera di una linotype non era come quella di un computer. Aveva i tasti divisi in tre settori: maiuscole, minuscole, altri simboli (numeri, interpunzione, eccetera).

La disposizione delle lettere non era quella che conosciamo. A partire da sinistra, in verticale, si leggevano le lettere etaoin nella prima colonna e shrdlu nella seconda.

A volte, per testare che tutto funzionasse, l’operatore premeva in sequenza tutti questi tasti e otteneva in risposta la riga in metallo col testo corrispondente. In teoria bisognava eliminarla subito, ma in alcuni casi poteva succedere che questa riga venisse stampata insieme alle altre. Così, chi leggeva il giornale si trovava davanti senza motivo nel testo questa scritta misteriosa, etaoin shrdlu, che nessuno aveva idea di cosa significasse, visto che, a differenza dei computer (e dei cellulari) che sono a disposizione di tutti, le linotype erano usate solo dal personale specializzato, per cui la gente comune non sapeva come fosse fatta la tastiera.

Il filmato si apre appunto con le immagini di un operatore che digita i tasti in questione.

Seguono molti dettagli del funzionamento della macchina e della composizione del giornale. Che andava fatta a mano: le righe in metallo uscite dalla linotype dovevano essere suddivise in colonne, integrate con cliché delle immagini, titoli, linee ed altre componenti grafiche.

I titoli andavano ancora composti a mano, lettera per lettera, come ai tempi di Gutenberg.

Per renderli maneggevoli, anche questi venivano realizzati su un’unica riga di testo, utilizzando una macchina Ludlow. A differenza della linotype, la Ludlow non aveva una tastiera. Il titolo preparato a mano, una matrice alla volta, veniva montato al suo interno dove poi sarebbe stato pompato il piombo fuso per ottenere il risultato finale.

Nelle immagini si vedono stanze affollate di linotipisti alle prese con le loro rumorose macchine e tipografi attorno ai banchi di composizione.

Al giorno d’oggi tutto questo personale non è più necessario per impaginare un giornale. Se all’epoca il testo battuto a macchina dal giornalista doveva essere ribattuto dal linotipista (magari dopo essere stato ribattuto anche dal telegrafista che doveva trasmetterlo alla redazione) e poi finire nelle mani dei compositori che dovevano dividerlo in colonne e sistemarlo in pagina, oggi è lo stesso personale giornalistico a occuparsi dell’impaginazione. Il testo scritto dal giornalista può essere incollato dentro un’email o direttamente nella pagina del giornale senza bisogno di essere digitato da capo. Il software di impaginazione divide automaticamente il testo in colonne e le parole in sillabe, e lo riadatta quando vengono inserite immagini o tabelle. Insomma, bastano pochi grafici a creare la gabbia di ogni pagina, e il personale giornalistico è in grado di gestire in proprio tutto il resto.

Molte delle linotype funzionavano in linea di massima come le loro antenate ottocentesche. Ma ce n’erano anche alcune moderne, inquadrate nel filmato, che non avevano la tastiera ma prendevano in input un nastro di carta perforata.

Invece di tre righe al minuto, ne componevano 14 al minuto, con un solo addetto che controllava tre macchine.

I caratteri in metallo erano ribaltati rispetto al risultato su carta. I tipografi erano in grado di leggerli al contrario, da destra a sinistra, e accorgersi anche di qualche errore che era sfuggito ai correttori di bozze.

Alle 9 di sera tutte le pagine dovevano essere complete. L’ultima a chiudere era la prima pagina. Da lì sarebbero nate le copie stampate da spedire fuori città con camion e aerei. Le pagine in metallo poi tornavano sui banchi di composizione per essere eventualmente aggiornate e corrette per l’edizione successiva, che chiudeva alle 11.

Le pagine venivano composte in piano, ma i rulli della rotativa erano curvi. Per passare da una superficie piana ad una curva si ricorreva alla tecnica della stereotipia: la pagina piana veniva messa in una pressa insieme con un flano, un foglio di cellulosa molto spesso che sarebbe rimasto incavato in corrispondenza dei caratteri in rilievo.

Metallo fuso veniva poi pompato sul flano curvato all’interno di una macchina. Ne veniva fuori un semicilindro col testo in rilievo, ribaltato di nuovo (i caratteri in metallo e il semicilindro da montare nella linotype hanno il testo al contrario, mentre quello sul flano si legge nel verso giusto).

I semicilindri in metallo scorrevano su nastri trasportatori per essere portati fino alla rotativa.

L’automazione era già molto presente, ma molti passaggi richiedevano la presenza di operai.

Ogni cilindro pesava 40 libbre, ossia 18 chili.

Nel documentario si vedono le facce dei linotipisti, che hanno lavorato su queste macchine per decenni. La fine dell’epoca è anche la fine di una parte significativa della loro vita. I più anziani lasciano per andare in pensione, gli altri studiano per imparare le nuove tecnologie.

Ho scritto varie volte che non si trovavano sul web immagini delle macchine computerizzate per la fotocomposizione in funzione. In questo filmato ci sono.

Dopo il ventesimo minuto, quando l’ultimo linotipista abbandona la stanza delle linotype, coi motori fermi e le luci spente, si entra nel nuovo reparto per la composizione del quotidiano.

E si vede uno schermo con fondo scuro e lettere verdi, bitmap. Tanti terminali uno dietro l’altro, uno a fianco all’altro, con ingombranti monitor a tubo catodico.

Al minuto 23:18 si vede un dettaglio di come appariva il testo sullo schermo. Caratteri monospace, grazie slab, la a a singolo piano con doppia grazia, lo 0 distinto dalla O grazie ad una barra verticale, mai vista prima.

Il carattere che appariva sullo schermo non era lo stesso che sarebbe comparso nelle pagine del quotidiano.

Mentre non era possibile memorizzare un testo composto con le linotype, al di la della versione metallica che sarebbe stata fusa di nuovo per ottenere la materia prima per impaginare il giornale del giorno dopo, con queste compositrici digitali il testo poteva essere salvato in memoria e ripescato in seguito per le correzioni.

Con le linotype era l’operatore che decideva a che punto andare a capo. Con i sistemi computerizzati il computer avrebbe deciso automaticamente la sillabazione una volta che l’operatore avesse stabilito la larghezza della colonna e la dimensione del testo.

Il testo veniva poi inviato ad una macchina che lo avrebbe proiettato su carta fotografica tramite tubo catodico.

Da questa macchina veniva fuori il testo su carta. Niente più metallo. La divisione in colonne doveva comunque essere fatta a mano, ritagliando la carta e incollandola nella posizione giusta.

Nel filmato si vede come veniva composta la prima pagina del quotidiano con la nuova tecnica. Il foglio con tutti gli articoli al loro posto veniva poi scannerizzato da un’enorme macchina, e il risultato servirà per ottenere le lastre da mettere nella rotativa (dettaglio che non viene mostrato).

Oggi l’intera composizione avviene sui monitor del computer, e da lì si possono ottenere direttamente le lastre da montare nella rotativa oppure, è l’ultima frontiera, mandare il risultato finale direttamente alla pressa, quasi come quando si invia un documento alla propria stampante. Lo spostamento di oggetti da una parte all’altra è ridotto al minimo, e anche quando non si può eliminare (rifornimento di carta o inchiostro...) si cerca, nei grandi stabilimenti, di automatizzarlo. Ci sono robot che leggono in automatico i codici, osservano l’ambiente circostante e sanno esattamente dove andare, senza sbattere e senza intralciarsi fra di loro o col personale. 

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