Gadugi

Gadugi è un font che viene distribuito coi sistemi operativi Microsoft da Windows 8 in poi.

Ha l’apparenza di un normale sans serif.

La scheda sul sito dell’azienda non fornisce nessuna informazione in maniera discorsiva, però mostra due specimen in caratteri non latini.

Immagino si tratti di un font destinato al mercato asiatico.

La scheda sintetica elenca questi Scritp Tags:

dlng: ‘Cher’, ‘Cans’

slng: ‘Cher’, ‘Cans’, ‘Latn’.

Il tag ‘slng’ indica i Supported Languages, ossia le lingue supportate. C’è anche ‘latn’ ossia le lettere che vediamo noi quando impostiamo il font e digitiamo sulla tastiera.

Il tag ‘dlng’ invece è quello dei Design Languages, ossia le lingue o scritture per cui il font è stato disegnato in maniera primaria.

Qui manca il latino ma ci sono solo le altre due lingue.

Di che lingue si tratta?

Ad ogni lingua è stata assegnato una tag di quattro lettere.

Sul sito della Iana c’è la lista completa.

‘Cher’ indica la scrittura Cherokee, mentre ‘Cans’ significa Unified Canadian Aboriginal Syllabics, un sillabario dei nativi americani canadesi.

Entrambi i tag esistono dal 2005.

Contrariamente a quello che immaginavo, questo font non ha nulla a che vedere con l’Asia, ma interessa il Nord America.

Iana è l’autorità che assegna gli indirizzi Ip, e stabilisce molti altri parametri che hanno a che vedere con la navigazione in internet. Il suo acronimo sta per Internet Assigned Numbers Authority.

All’Unified Canadian AboriginalSyllabics, inteso come blocco Unicode, è dedicato un articolo di Wikipedia in italiano, in cui si possono vedere tutti e 160 i glifi.

Comprende tutti i simboli del sillabario aborigeno canadese e del sillabario inuktitut.

Simboli che abbiamo già incontrato e che sono famosi per una particolarità: ognuno di loro rappresenta una sillaba diversa, ma sono stati progettati in modo che tutte le sillabe contenenti la stessa consonante abbiano la stessa forma ma diverso orientamento.

Ad esempio la sillaba pe si indica con un segno che ha la stessa forma della nostra V, con la punta verso in basso. Se la V è ruotata di 90 gradi in senso orario indica la sillaba pa, in senso antiorario indica la sillaba po, se invece viene ruotata di 180 gradi, e quindi è capovolta, indica la sillaba pi.

Per questo, anche se si chiama sillabario, non viene considerato un vero sillabario ma un alfasillabario o abugida, ossia una scrittura in cui la forma delle consonanti viene modificata per indicare la vocale con cui è combinata.

Nelle antiche scritture sillabiche la forma dei segni riferiti a sillabe che contengono la stessa consonante hanno forme completamente diverse, che non tengono nessun conto della fonetica. Il motivo è che magari sono nate da ideogrammi che raffiguravano oggetti la cui sillaba iniziale era quella desiderata. Per fare un esempio (completamente arbitrario) per la sillaba ba potremmo disegnare una barca stilizzata (perchè inizia per ba), mentre per bo una bottiglia. E la barca non somiglia affatto a una bottiglia.

Il sillabario aborigeno canadese invece non è un’antica scrittura: è stato ideato in maniera razionale da un missionario, il reverendo James Evans, nel 1841. Prima di allora, gli indigeni americani non avevano nessuna forma di scrittura vera e propria, a parte disegni stilizzati che servivano a ricordare alle persone alcuni concetti, ad esempio i punti fondamentali di una storia, ma non si riferivano alle esatte parole da pronunciare.

Al sillabario Inuktitut Wikipedia in italiano dedica solo tre righe, più una tabella con tutti i glifi e la foto di un cartello stradale di Stop con la scritta in lettere latine e inuktitut.

I principi di base sono gli stessi, è solo una variante del sillabario aborigeno canadese.

L’articolo in inglese dedicato a questa scrittura non nomina mai Evans, ma dice che il primo libro stampato in Inuktitut usando la scrittura Cree era un pamphlet religioso di 8 pagine stampato neel 1855 da un certo John Horden.

Vengono citati di sfuggita i missionari moraviani in Groenlandia e Labrador. 

La lingua inuktitut è quella parlata dagli inuit, un popolo che in passato era spesso citato in Italia col nome di eschiimesi, termine oggi considerato dispregiativo e quindi abbandonato.

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