Grand Tour
Nel corso del Settecento i giovani aristocratici nordeuropei facevano un lungo viaggio in Italia per stare a contatto diretto coi monumenti dell’antichità classica, romana e greca, e riportare a casa souvenir e opere d’arte. Era un viaggio formativo molto importante che facevano in molti, e l’abitudine in seguito si estese anche alle donne.
I viaggiatori scrissero varie opere coi resoconti delle loro esperienze, o ne derivarono dei romanzi. Su Wikipedia, nella pagina dedicata all’argomento, si può vedere il frontespizio dell’edizione francese di una di queste opere, stampata nel 1763.
Il titolo è lunghissimo, come si usava all’epoca, diviso su molte righe a riempire tutta la pagina: “Voyage / en France, / en Italie / et aux isles del l’archipel / ou / lettres ecrites / de plusieurs endroits / de l’Europe et du Levant / en 1750 &c. / Avec des observations de l’Auteur sur les / diverses productions de la Nature / & de l’Art. / Ouvrage traduit de l’anglois. / Tome premier / A Paris, / Chez Charpentier, Libraire, Quai / des Augustins, a l’entrée de la rue du / Hurepoix, à S. Chrysostome. / M. DCC. LXIII. / Avec Approbation, & Privilége du Roi.”
Le prime righe sono scritte tutte in maiuscolo, variando la dimensione da una riga all’altra. La frase delle osservazioni è in minuscolo corsivo. L’indirizzo dell’editore invece è in romano, con una parola in maiuscoletto. L’ultima riga è di nuovo in corsivo.
Un osservatore distratto, abituato ad utilizzare il computer, tende istintivamente a pensare che tutto il titolo è impaginato usando lo stesso “font”, a cui è stata cambiata la dimensione e lo stile, visto che si tratta sempre di caratteri serif, apparentemente tutti dello stesso peso.
In realtà bisogna considerare come si lavorava e si pensava all’epoca: non esistevano font scalabili, come al giorno d’oggi, che prima si compone un testo e poi lo si ingrandisce o rimpicciolisce a piacimento.
All’epoca i caratteri erano oggetti in metallo. Tutti quelli dello stesso tipo occupavano i vari scompartimenti di una cassa che veniva conservata all’interno di una cassettiera.
Nella tipografia c’erano quindi varie cassettiere coi caratteri di vari stili e varie dimensioni, quindi per ciascuna riga della pagina in questione il tipografo doveva attingere ad una cassa diversa: per le lettere grandi, per le lettere piccole, per quelle corsive, per quelle maiuscolette, eventualmente per le linee nere e decorazioni tipografiche (qui ci sono due linee nere sottili sopra e sotto la scritta “tome premiere”, una spessa e una sottile prima della data, e una decorazione floreale sopra al nome della città di Parigi).
Inoltre non era ancora nato il concetto di famiglia o serie di caratteri tipografici (typeface, in inglese), ossia che lo stesso disegno di base dovesse essere adattato a varie dimensioni e pesi conservando le stesse caratteristiche.
Quindi la stessa fonderia poteva destreggiarsi come meglio credeva ogni volta che realizzava caratteri serif librari in una nuova versione, anche per creare un po’ di varietà.
Il risultato è che se guardiamo le tre E che si trovano alla fine delle prime tre righe, pur trovandoci di fronte sempre allo stile romano con grazie, siamo costretti a notare che si tratta di font diversi. La E della prima riga ha la grazia inferiore che punta in verticale verso l’alto La cravatta, ossia il tratto orizzontale centrale della lettera, è più corta rispetto al tratto superiore.
Nella E della seconda riga invece la grazia del tratto inferiore punta decisamente in avanti, mentre gli altri due tratti orizzontali hanno la stessa lunghezza.
Nella terza E il tratto orizzontale basso non si spinge molto più avanti rispetto a quello alto, come invece avviene nella prima.
Anche se guardiamo la A notiamo qualcosa di interessante. Mentre quella della prima riga ha la cima a punta, quella della seconda ce l’ha incavata. Quella della terza è come quella della prima, ma in proporzioni diverse, al di là della dimensione.
Nel testo minuscolo si può notare l’uso della s lunga (tranne in finale di parola), che venne abbandonato alla fine del secolo, se non sbaglio.
Nelle parole “observations” e “diverses”, la s interna è lunga (ed essendo corsiva ha anche il tratto discendente, come la f), mentre quella finale è uguale a quella che usiamo noi.
Nella scritta romana più sotto notiamo due legature tra la s lunga e la t seguente.
Nel corsivo c’è una specie di legatura ct anche se il tratto non tocca la c e neanche la t, comunque sovrasta la prima lettera e quindi necessita un carattere a sé.
Al giorno d’oggi le uniche legature che ancora si usano sono quelle che riguardano la f.
Dal punto di vista tipografico, notiamo spesso l’aggiunta di spazio vuoto tra una lettera e l’altra per mettere qualche parola in evidenza, sia nella parola più grande della pagina, “voyage”, e in molte altre righe successive, sia nella parola in maiuscoletto col nome della libreria Charpentier, all’interno del paragrafo in stile romano.
Lo spazio viene messo sia prima che dopo le virgole.
L’anno è scritto in numeri romani, con punti dopo migliaia, centinaia e unità (ma non dopo le decine).
Nella foto si notano anche vari dettagli della rilegatura, tra cui l’uso di carta marmorizzata per la copertina.
Il sito non fornisce informazioni sul formato del libro, quindi neanche possiamo tentare di indovinare le dimensioni del testo.
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