Jikji
Il Jikji èun libro sul buddismo coreano che sarebbe stato stampato nel 1377.
Visto che la Bibbia d Gutenberg è stata stampata a metà del Quattrocento, staremmo parlando di qualcosa che risale a quasi ottant’anni prima.
Anche se parlando distrattamente qualcuno dice che Gutenberg è inventore della stampa, si sa che questa è solo un’approssimazione. Prima di Gutenberg anche in Europa si stampava già, usando delle tavole di legno incise anziché i caratteri mobili. E per quanto riguarda i caratteri mobili, è risaputo che questi erano già stati usati in Cina da Bi Sheng, solo che erano fatti di ceramica anziché di metallo.
Gutenberg quindi non ha inventato la stampa, bensì la tipografia, che si basava su diverse intuizioni combinate insieme. Prima di tutto usò i caratteri mobili, che non erano ancora conosciuti in Europa. Questo permetteva di velocizzare la composizione delle pagine, riutilizzando i caratteri già usati senza bisogno di doverne incidere di nuovi. In secondo luogo usò il metallo come materia prima al posto del legno, e questo gli permise di produrre i caratteri in serie usando degli stampi anziché inciderli uno alla volta. In terzo luogo inventò la pressa da stampa, ovvero adattò il torchio che veniva usato per pigiare l’uva in maniera tale da esercitare una pressione uniforme sul foglio, permettendo la stampa su tutti e due i lati (in precedenza bisognava strofinare il lato posteriore del foglio, che quindi non poteva contenere stampe che si sarebbero danneggiate).
Leggo ora su Wikipedia che dal 2001 l’Unesco ha riconosciuto che il più antico libro al mondo stampato con caratteri mobili in metallo è il Jikji.
La storia che viene raccontata da Wikipedia è abbastanza vaga. A quanto si capisce dall’articolo, nell’ultima pagina dell’unico volume sopravvissuto ci sarebbe scritto che era stato stampato con caratteri mobili metallici nel terzo anno del re U di Goryeo nel tempio di Heungdeok a Cheongju.
E basta.
Accanto all’articolo c’è una foto in bassissima risoluzione la cui didascalia dice: “Caratteri mobili usati per la stampa del Jikji”.
Cosa?!? Sono sopravvissuti i caratteri in metallo usati per questa stampa?!?
In realtà leggendo l’articolo in inglese c’è un paragrafo che parla della restoration dei caratteri in metallo effettuata da un centro forse collegato all’università coreana Kyungpook.
Restoration significa restauro, ma anche ripristino.
Il centro ha “replicato con successo i 31,200 caratteri dei due volumi del Jikji per un totale di 78 lastre incise con 400 caratteri per lastra”.
Uhm. La cosa si complica.
Restaurare significa riparare i danni su qualcosa che già c’è, mentre replicare significa ricostruire da zero qualcosa che in realtà non c’è.
E poi si parla di lastre, plates, quando prima si era parlato di caratteri mobili. Dovrebbe trattarsi di cose diverse, no?
Per un libro di 31 mila caratteri, intesi come battute, non bisogna possedere 31 mila caratteri, intesi come blocchetti di metallo, perché quelli usati per una pagina vengono riutilizzati per le altre. O no?
Sempre Wikipedia in inglese dice che il Jikji “divenne conosciuto al mondo nel 1901 grazie alla sua inclusione nell’appendice dell’Hanguk Seoji compilato dal sinologo francese nonché studioso di Corea Maurice Courant”. Nel 1972 il Jikji fu esposto a Parigi per l’anno nazionale del Libro alla Biblioteca Nazionale di Francia, ottenendo attenzione per la prima volta.
Fu poi riscoperto da un certo dottor Park Byeongseon che lavorava lì come bibliotecario e che morì nel 2011.
Della data di morte del bibliotecario ci interessa ben poco. Quand’è che qualcuno si è accorto che quello era il più antico libro a caratteri mobili in metallo stampato al mondo? Già nel 1901? Nel 1972? Nel 2001?
E cosa c’è scritto di preciso nell’ultima pagina? Davvero le parole possono essere interpretate come “caratteri mobili in metallo”? O ci sono altre interpretazioni?
Perché qualcuno parla di plates?
Ed è sicuro che i caratteri fossero composti prima della stampa e non invece usati come timbri, ad esempio?
Il problema dell’invenzione cinese della stampa è che non ha “fatto il botto” come è successo in Europa. Qui nel giro di pochi anni l’invenzione si è diffusa in tutto il continente, dalla Germania alla Francia, all’Italia, all’Olanda, all’Inghilterra e oltre, e poi alle colonie e al resto del mondo. E visto che nessuno aveva raccontato la nascita di questa tecnologia, proprio perché non c’era la stampa intesa come giornalismo, nacquero subito varie leggende per cui varie città iniziarono a vantarsi per un motivo o per l’altro di avere ospitato un presunto inventore di questa tecnica.
In Cina invece l’invenzione non provocò nessuna rivoluzione. E a quanto pare neanche in Corea se si è dovuto attendere il Novecento per dare visibilità a un libro stampato in questo modo nel Trecento.
Come mai coloro che hanno stampato il Jikji non hanno diffuso la tecnica al resto del Paese, o comunque non hanno dato il via a una lunga tradizione di stampatori nel loro tempio?
Oggi l’unica copia sopravvissuta del secondo volume di questo libro è di proprietà della Biblioteca Nazionale di Francia. Alcuni coreani ne chiedono la restituzione al loro Paese.
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