Motter Corpus
Cammino tra gli scaffali del supermercato e vedo una lattina da 0,44 ml di birra Brewdog Wingman.
Il colore di fondo è giallo, l’immagine è di impatto: c’è un’aquila blu in stile fumetto, con lo sguardo deciso, vestita da aviatore con tanto di occhialoni sul casco e toppa dei paracadutisti sul braccio.
Accanto, in verticale a salire, c’è la scritta “The eagle has landed”, tutta in maiuscolo. Una frase che letteralmente significa “l’aquila è atterrata”, ma che è rimasta famosa perché sono state le prime parole pronunciate dall’astronauta Neil Armstrong dopo lo sbarco sulla luna nel 1969: “The Eagle has landed”, dove Eagle era il nome del modulo lunare.
Il logo della missione Apollo 11 raffigura appunto un’aquila amereicana dalla testa bianca che atterra sulla luna, mentre la Terra si vede dietro in lontananza, azzurra su fondo nero.
In quel caso però l’aquila è al naturale, non certo vestita da astronauta e nemmeno con le penne blu.
Con What Font Is vado ad identificare il font usato sulla mia lattina di birra. Viene fuori che si tratta di un Motter Corpus Condensed, disegnato dall’austriaco Othmar Motter nel 1993. Le proporzioni sono quelle di un sans, ma le estremità delle aste sono scampanate, rendendolo un serif.
Il font completo contiene anche le minuscole. Gli spigoli sono arrotondati, le grazie non seguono linee geometriche, dando al tutto un aspetto molto umano.
Faccio un po’ fatica a leggere da dove arriva questa birra: il testo in più lingue è compresso in uno spazio molto piccolo. A quanto pare è prodotta in Scozia, ma il gruppo ha la sede principale in Germania.
Le indicazioni sulla località sono scritte in un sans serif stretto e grassetto, tutto maiuscolo. La dimensione della maiuscola è meno di un millimetro e mezzo, diciamo sui 5 punti tipografici?
Seguono gli ingredienti, e questi sono scritti in un font dalle proporzioni più svizzere, più leggero e con le minuscole alte quanto le maiuscole della scritta precedente, che si trova per giunta sulla stessa riga. Qualche parola è in grassetto. Alla fine ritorna il maiuscolo stretto di prima, piccolo e grassetto, per dare indicazioni su dove trovare la data di scadenza, altre tre righe.
A seguire, un testo in lingua giapponese, con i primi caratteri scritti molto grandi e gli altri in dimensione più piccola ma comunque più grandi del testo che abbiamo visto finora. Siamo a quasi tre millimetri di altezza, ossia un corpo 10 o 11.
Immagino che si tratti di giapponese perché riconosco alcuni caratteri hiragana visti anche nel testo dell’haiku di cui ho parlato qualche giorno fa, che è comparso scritto sulla parete esterna di una scuola italiana appena ristrutturata, insieme ad altre citazioni letterarie. La sillaba no è simile alla nostra D calligrafica, come si insegna a scuola, la sillaba shi è a manico d’ombrello (una J ribaltata). Ci ho fatto mente locale perché nella scritta sul muro le lettere erano coricate su un fianco, perché per motivi grafici l’intero testo, scritto in tre colonne verticali che si leggono da destra a sinistra, era stato ruotato di 90 gradi.
Qui le lettere sono disposte nel verso giusto. L’unica cosa che noi italiani siamo in grado di riconoscere sono i numeri, che si scrivo esattamente tali e quali a quelli che conosciamo. Le frasi sono separate da un pallino nero bello grosso a mezza altezza. In realtà c’è anche qualche altra cosa che possiamo riconoscere: le parentesi, i due punti, il trattino. E le lettere latine dd/mm/yy, che indicano il formato della data di scadenza, non scontato tenuto conto che nei paesi anglofoni il mese si scrive prima del giorno.
A dire la verità un’altra cosa c’è: la scritta ml, dopo il numero 440, che è in un corsivo calligrafico ad asse verticale, in lettere latine apparentemente.
La lattina è da 440 millilitri. Ma perché non l’hanno scritto in caratteri giapponesi?
Perché hanno usato il simbolo unicode del millilitro, presente dalla versione 1.1, giugno 1993, valore U+3396.
Il nome inglese del simbolo è “square ml”, il che farebbe pensare che ce ne sia anche uno non-square, e invece no.
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