Come non falsificare un documento
A fine ottobre Half As Interesting ha caricato su Youtube un video di 9 minuti che parla di vari documenti falsi che sono stati scoperti a causa dell’uso del font sbagliato.
Il filmato si apre col caso dei falsi diari di Hitler, dove il problema non è tanto la scelta del carattere quanto l’uso che ne è stato fatto. Infatti sulle copertine dei quaderni che sarebbero stati utilizzati dal dittatore tedesco c’erano le sue iniziali... o quelle che sarebbero dovute essere le sue iniziali. Solo che quella che era stata interpretata come una A in realtà era una F. Evidentemente il falsificatore non era molto pratico con lo stile gotico. Tra l’altro mi pare che abbia usato un gotico inglese anziché tedesco. Ci ho già scritto un post su questo blog, tempo fa.
Anche del secondo caso esaminato nel video ho già parlato in passato: quello che ha riguardato la figlia di un ex primo ministro pakistano all’epoca dello scandalo dei Panama Papers, nel 2016. Per discolparsi la donna aveva mostrato dei documenti che provavano la sua innocenza, solo che erano impaginati in Calibri. Il problema è che riportavano una data precedente al 2007, ossia a quella in cui il font venne diffuso insieme con Microsoft Word. All’epoca il font esisteva già, ma ce l’avevano solo gli sviluppatori che stavano mettendo a punto la nuova versione del software, e nessuno sapeva che sarebbe diventata la scelta di default. La conclusione è che probabilmente quei documenti erano stati realizzati in seguito, quando il Calibri era in circolazione da così tanti anni da far dimenticare che non è sempre esistito.
Il terzo esempio riguarda di nuovo il Calibri, ma stavolta il Paese interessato è la Turchia, e l’anno il 2010. Questo non l’avevo mai sentito prima. Stavolta il documento incriminato era scritto in Arial, il font di default alla data presunta di creazione. Se fosse stato trovato nella versione stampata non ci sarebbe stato niente di strano. Ma era in digitale, quindi gli esperti andarono a vedere tra i byte di cui era composto il file le informazioni relative al software che era stato usato per crearlo (i metadati). E trovarono un riferimento al Calibri, che appunto all’epoca non doveva esistere. Insomma, qualcuno doveva avere modificato il documento con un software più recente, o lo aveva creato a partire da zero. Il documento non poteva considerarsi autentico.
Anche l’esempio successivo mi giunge nuovo: sono i Killian Memos, venuti fuori nel 2004 per incastrare il presidente americano George W. Bush durante la campagna elettorale. I documenti erano scritti in Times New Roman e datati 1974. Il Times New Roman è in circolazione dal 1932, ma soltanto in versione tipografica. I normali documenti da ufficio negli anni Settanta venivano battuti a macchina, e i meccanismi delle macchine da scrivere all’epoca non erano progettati per gestire lettere di diversa larghezza. Quindi facevano uso di caratteri monospace.
Inoltre non c’era modo di rimpicciolire le lettere, mentre nei documenti che erano stati forniti alla trasmissione della Cbs in quell’occasione compariva un th piccolino in alto dopo il numero dello squadrone. In Word quell’effetto scatta in automatico, mentre con le macchine da scrivere era impossibile.
Insomma, probabilmente il falsario aveva composto il tutto col computer, usando il Times New Roman, poi l’aveva fotocopiato e aveva fotocopiato le fotocopie per dare al tutto un effetto rétro. Quando vennero fuori i primi dubbi i giornalisti chiesero gli originali. Ma la fonte disse che dopo averli faxati alla redazione li aveva bruciati. Un po’ come dire: “Se li è mangiati il gatto”.
Insomma, sembrerebbe che la prima regola per falsificare un documento sarebbe quella di usare un font che era in uso all’epoca in cui si suppone sia stato stampato il documento in questione. Ma questo non basta, perché un qualsiasi perito può individuare rapidamente un falso da vari dettagli. Vero che il Times New Roman c’era già nel 1932, ma non si può realizzare un falso articolo del Times di quell’anno. Primo perché la carta che si usava all’epoca non è quella di cui siamo in possesso oggi. Secondo perché all’epoca la stampa era più imprecisa e ogni lettera aveva un contorno leggermente diverso rispetto alle altre. Terzo perché la stampa con caratteri in rilievo lascia sul foglio una traccia diversa rispetto a una stampante laser o a getto d’inchiostro, per cui basta una semplice lente d’ingrandimento (o la fotocamera del cellulare) per avere la prova che la tecnica usata non è quella che ci si aspetta. Lo stesso discorso vale per le macchine da scrivere, dove la traccia sul foglio era ottenuta battendo una lettera in rilievo contro un nastro inchiostrato. Ogni volta che si batteva la stessa lettera, questa macchiava il foglio in maniera diversa a seconda dell’inchiostro presente, della pressione e di altri fattori casuali. Per giunta non tutte le lettere erano allineate in maniera perfetta sulla linea di base, perché col tempo la macchina si consumava e aumentavano le imperfezioni.
Insomma, per far passare per autentico un documento battuto a macchina bisogna batterlo a macchina. Per falsificare un documento uscito da una pressa bisogna usare una pressa.
Diverso è il discorso per il cinema, dove non ci sono periti che vogliono esaminare il foglio con la lente d’ingrandimento. In quel caso l’inquadratura dura pochi secondi, per cui l’importante è che il foglio sembri autentico a prima vista, ad uno sguardo distratto. Può essere anche stampato con una stampante da ufficio, a condizione di usare il font giusto. Sono stati messi a punto font coi caratteri da macchina da scrivere, con lettere che hanno imperfezioni diverse ogni volta che vengono digitate sfruttando le funzionalità OpenType. Certo, bisogna saperli usare, ricordando che fino a tempi recenti non si poteva ingrandire e rimpicciolire il testo o metterlo in grassetto o corsivo. Ma con i dovuti accorgimenti i font digitali possono andare più che bene, per il cinema.
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