Numeri romani
Sappiamo che gli antichi romani usavano le lettere dell’alfabeto al posto dei numeri. La I corrispondeva all’unità, la V indicava cinque unità, la X rappresentava il numero 10, la L il 50, la C il 100, la D il 500 e la M il mille.
A differenza della nostra notazione in cui ogni cifra assume il valore di unità, decina, centinaia eccetera a seconda della posizione in cui si trova nel numero, nei numeri romani ogni simbolo aveva sempre lo stesso valore, che andava sommato o sottratto al totale a seconda della posizione in cui si trovava.
Ad esempio IX significa 9 mentre XI significa 11. I simboli andrebbero inseriti da sinistra a destra in ordine di valore decrescente. Però se un simbolo che vale di meno si trova prima di uno che vale di più vuol dire che va sottratto a quest’ultimo.
E per i numeri maggiori di mille? La cosa più semplice è mettere un trattino al disopra del simbolo per moltiplicarlo per 1000.
La lettera X con un trattino che la sovrasta significa 10.000.
Lo spiega il sito Mammoth Memory, mettendoci anche un numero spropositato di esempi, sia usando il simbolo delle migliaia sia senza.
Ad esempio il numero 68 mila può essere scritto sia LXVIII tutto sotto una linea orizzontale, sia LXVMMM, con la linea orizzontale che sovrasta solo le prime tre lettere. In pratica sarebbe 65 mila con l’aggiunta di tre migliaia.
In realtà sono stati usati altri simboli nel corso della storia. Ad esempio il numero I preceduto e seguito da dei segni simili alle nostre parentesi, che in realtà dovevano essere una C semplice a sinistra e una C rovesciata a destra: una volta per le migliaia, due volte per le decine di migliaia, tre per le centinaia di migliaia.
Da lì sono derivati dei simboli che sono stati inclusi in Unicode, i cui valori sono U+2180, U+2182, e U+2188.
Insieme a loro troviamo quelli che valgono la metà e che rappresentano solo la loro parte destra (solo per 5 mila e 50 mila), le C rovesciate e un vecchio simbolo per il numero 50 a forma di freccia puntata in basso.
Alcuni di questi simboli stanno anche nel Times New Roman, anche se nessuno li usa.
Su Compart si può vedere la tabella di tutti i glifi che compongono il blocco. Ci si trovano anche le lettere IVXLCDM, che possono essere usate in questa versione diversa rispetto alla lettera dell’alfabeto in quanto a valore Unicode, e perfino i simboli composti tra 1 e 12: II, III, IV, VI, VII, VIII, IX, XI, XII. Insomma, possiamo scrivere il numero 12 con un solo glifo composto dalle tre lettere staccate una dall’altra.
In OpenOffice esiste una funzione apposita che permette di convertire in automatico un numero intero in numeri romani.
Non qualunque numero, ma solo un intero tra 0 e 3999.
Non so perché ci sia questa limitazione: quando si va a fare un elenco anche i numeri superiori a 4000 vengono convertiti in numeri romani.
La funzione può prendere due argomenti. Il primo è un numero intero. Passando un numero con la virgola la parte decimale viene troncata.
Il secondo argomento non è necessario, ma può essere un valore tra 0 e 4.
Se non viene passato nessun valore il software ci mette 0.
Le regole che ho enunciato prima, che sono abbastanza semplici, possono essere infatti applicate in maniera diversa a seconda dei casi. Ad esempio di solito solo I, X e C sono usati con funzione sottrattiva, e il valore della più bassa lettera con funzione sottrattiva dovrebbe essere non meno di un quinto o un decimo di quella successiva.
Passando parametri diversi a questa funzione è possibile alterare queste regole in vari modi.
Cioè: nel modo 0 il numero 999 corrisponde a CMXCIX, ossia 900+90+9.
Nel modo 4 invece otteniamo il minor numero di caratteri possibile: IM, ossia 1000-1.
Con i modi 1, 2 e 3 si possono ottenere combinazioni diverse, ad esempio usando L e V con funzione sottrattiva.
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