Numeri vichinghi
I vichinghi non andavano molto d’accordo con i numeri. A differenza di altri popoli antichi, che ci hanno lasciato tracce consistenti di misurazioni, calcoli e operazioni di vario genere, questo popolo aveva poca simpatia per la matematica. Un vero peccato, visto che al giorno d’oggi hanno molti fan, magari anche grazie a qualche serie tv. E poi si sa che i vichinghi usavano le rune, e le rune hanno il loro fascino, visto che divinavano il futuro come i tarocchi. Capita che qualcuno inizia ad appassionarsi ai vichinghi, vuole farsi tatuare addosso un numero vichingo, magari una data, e rimane deluso scoprendo che non può esistere del genere.
A quanto pare nelle iscrizioni vichinghe che ci sono rimaste, quando c’è bisogno di citare un numero, lo si scrive per esteso.
Sembra che sia stato trovato anche qualche calendario, ma c’erano scritte soltanto le prime sette rune, ripetute più e più volte. Certo se qualcuno nel futuro dovesse giudicarci solo sulla base di un esemplare di un nostro calendario, magari si farebbe l’idea che noi usiamo solo sette lettere, LMMGVSD, di cui una ripetuta due volte. Ma sui nostri calendari ci sono anche i numeri, su quelli vichinghi no.
Su internet circola anche qualche tabella che mette in relazione ognuna delle rune con un certo numero, in ordine. Un po’ come facevano gli antichi ebrei, solo che mentre il sistema ebraico assegnava una lettera a ciascuna delle dieci unità, delle decine e poi alle centinaia, qui si procede di uno in uno, e quindi non si può contare oltre il 24 perché ci sono solo 24 simboli.
Il sito Norse Tradesman accenna però a qualcosa di interessante: i pentimal integers, un sistema che sarebbe stato inventato dai mercanti per prendere nota di pesi e valute.
È qualcosa che ricorda altri sistemi, tra cui quello dei Romani, tutti derivanti dall’idea antichissima di incidere delle tacche su un bastone per tenere il conto degli oggetti.
In questo caso abbiamo un’asta verticale da cui se ne dirama una orizzontale in alto per una unità, oppure due, tre o quattro, come i denti di un pettine.
È risaputo che quattro è il numero massimo di oggetti che la gente riesce a percepire a occhio, quando sono in linea, prima di mettersi a contare. Il 5 si farebbe come la nostra P. Fino al 9 si continuano ad aggiungere tratti orizzontali verso destra. Il 10 sarebbe una specie di P doppia, con pance da entrambi i lati.
Su Wikipedia in inglese si accenna all’argomento, ma non si parla di pentimal integers, bensì di pentadic numerals.
Solo che si fa riferimento all’era moderna, ossia alla seconda metà del secondo millennio, mentre i vichinghi sono vissuti in precedenza.
L’uso segnalato è quello sui calendari, dove indicava il numero d’oro, quello che riguarda il ciclo lunare che dura 19 anni.
Quindi non c’era nessuna esigenza di avere numeri maggiori di 19.
A scombinare il tutto arriva una pietra spuntata fuori in nord America alla fine dell’Ottocento che documenterebbe la presenza dei norvegesi in Minnesota prima dell’arrivo di Colombo.
Il fatto che sia stata scoperta proprio da un immigrato svedese è molto sospetto e improbabile. Si era in pieno Romanticismo, si rivalutavano tutte le tradizioni contrapposte a quella classica dei Greci e dei Romani, nascevano gli Stati nazionali...
Insomma è possibilissimo che qualcuno, preso dall’entusiasmo abbia inciso le rune sulla pietra creando scalpore.
Gli studiosi abbiano spiegato perché secondo loro si tratta di un falso, ma siccome ci sono anche dei sostenitori e la storia è affascinante, ecco che ha ottenuto molta più attenzione di quella che meritava.
Su un lato della pietra si legge l’anno in cui sarebbe stata scritta: 1362. Sono stati usati appunto i numeri pentadici, ma in maniera posizionale. Il numero uno usato per le migliaia, il tre per le centinaia e così via.
È normale? In Italia i numeri indiani,
organizzati in maniera posizionale, vennero introdotti già nel
Duecento da Fibonacci. Ma i norvegesi del Trecento che numeri
usavano? E usavano ancora le rune? No!
Gli stessi numeri pentadici usati in maniera posizionale sarebbero stati trovati di nuovo in America, negli anni Settanta, stavolta nel Maine, dove qualcuno tirò fuori tre piccole pietre con iscrizioni runiche.
Dice Wikipedia in inglese che si trattava di una truffa evidente, con poche parole norvegesi in mezzo ad altre senza senso.
Una blogger nel 2019 ha dato la colpa al razzismo: sono stati gli archeologi, uomini e bianchi, che volevano dimostrare la superiorità della razza bianca, eccetera. Una spiegazione che nell’America di oggi è come una scintilla sulla paglia.
Comunque i siti che parlano dei numeri pentadici riportano spesso la sequenza delle cifre da 1 a 10 che si trova su un manoscritto del 1885, il cui autore è uno svedese che viveva in Minnesota. Nel testo si può vedere un uso della cifratura pigpen, elenchi di rune con caratteristiche simili a quelle trovate sulla pietra di Kensington e la data scritta con numeri pentadici in notazione posizionale. La foto del documento intero è anche su Wikipedia in inglese, nell’articolo sulla stele di Kensington.
Noi possiamo guardare la questione con parecchia indifferenza, ma chiaramente gli esperti nordeuropei hanno preso la faccenda molto sul serio, catalogando le irregolarità, confrontando le testimonianze e cercando spiegazioni.
Su Dafont esiste un font runico nel quale è stata fatta la scelta di disegnare i numeri alla maniera pentadica, soltanto perché dal punto di vista stilistico si intonano meglio col le lettere dell’alfabeto. Il font si chiama Gunnar Runic, l’autore è Samyuli. 8 mila download in 14 anni.
Le lettere hanno un aspetto irregolare, non geometrico, e sono circondate da una linea di contorno esterna.
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