Una pedalina Saroglia in funzione

Quattro anni fa il Museo della Stampa e Stampa d’Arte di Lodi ha realizzato un breve filmato che mostra una pedalina Saroglia in funzione.

Le macchine di questo genere furono inventate a metà Ottocento e venivano utilizzate dalle tipografie per stampare piccole tirature e formati ridotti.

Tra il Quattrocento e l’Ottocento le presse da stampa avevano funzionato tutte sulla base dello stesso principio messo a punto da Gutenberg in origine: la forma coi caratteri veniva disposta in verticale su un carrello che veniva spinto sotto un torchio che veniva azionato a mano.

Con la rivoluzione industriale vennero inventate soluzioni innovative per automatizzare il processo di stampa e renderlo più veloce. Per i grandi formati vennero inventate le macchine piano-cilindriche, nelle quali la pressione veniva esercitata da un cilindro che rotolava su una superficie piana, e le parti erano messe in movimento da un motore a vapore.

Per i piccoli formati invece l’energia per muovere tutti i meccanismi automatici era fornita dall’uomo, grazie ad un operatore che premeva ritmicamente un pedale collegato ad una ruota, mentre contemporaneamente metteva il foglio bianco e toglieva il foglio stampato.

Mettere la forma coi caratteri in orizzontale creava la possibilità di incidenti, visto che la mano poteva rimanere chiusa nella pressa e l’operaio poteva perderci le dita, così si decise di mettere la forma in verticale mentre l’altra superficie piana ci si avvicinava richiudendosi a conchiglia, in maniera da dare al tipografo la possibilità di sfilare la mano in tempo.

Gli ingranaggi della macchina non soltanto regolavano l’apertura e la chiusura ritmica del dispositivo, ma anche l’inchiostratura dei caratteri. Alcuni rulli si spostavano in su e in giù ad ogni impressione, prelevando l’inchiostro da un piatto girevole che si trovava in alto, e che faceva una piccola rotazione ad ogni stampa in maniera da assicurare una inchiostratura uniforme.

Nel video caricato su Youtube però viene mostrata una stampa particolare: in Braille, ossia nella scrittura per i non vedenti.

In questo caso l’obiettivo non è quello di passare l’inchiostro sulla carta, ma di deformare il foglio lasciando in rilievo una serie di puntini riconoscibili al tatto.

Questo significa che non serve una sola forma da inchiostrare, ma due matrici (o meglio una matrice propriamente detta e una contromatrice), una coi puntini in rilievo e l’altra coi puntini incavati.

L’operatore deve fare in modo che le due matrici combacino alla perfezione, e questo richiede una notevole accuratezza (questa parte però non viene mostrata nel filmato). Inoltre, visto che l’inchiostro non serve, vengono smontati direttamente tutti i rulli inchiostratori. I bracci che li dovrebbero portare ovviamente restano lì, e li si vede nel filmato mentre si muovono su e giù ad ogni stampa.

Nel corso del Novecento le macchine di questo tipo, chiamate platine, vennero migliorate ulteriormente. Vi venne aggiunto un motore elettrico per poter funzionare senza bisogno del pedale, e un compressore collegato ad alcuni tubicini montati su bracci rotanti che permettevano alla macchina di prendere in automatico i fogli da stampare e togliere quelli già stampati.

A quel punto le presse potevano funzionare in autonomia, fermo restando che l’operatore doveva curare la messa a punto prima della stampa e rifornirle di inchiostro quando serviva.

L’esemplare che si vede nel filmato è stato fabbricato a Torino nel 1923 ed è stato utilizzato presso la tipografia Spazzini di Sant’Angelo Lodigiano fino agli anni Settanta.

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